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La situazione sul campo ucraino, tra controffensiva e tensioni al Cremlino. Il punto di Jean

Come quelli di Putin, gli obiettivi di Zelensky non sono mutati: raggiungere il Mar d’Azov e rompere il “ponte terrestre” fra la Russia e la Crimea, da tenere sotto la minaccia delle artiglierie ucraine, rendendone a Mosca troppo onerosa l’annessione. La consegna da parte Usa di nuovi e più potenti mezzi di fuoco potrebbe invece aumentare di molto le capacità d’attrito degli ucraini e, in particolare, provocare il collasso logistico delle forze russe. Il generale Carlo Jean spiega come evolve lo scenario bellico

Molti speravano che la tanto annunciata controffensiva ucraina ripetesse i successi che aveva avuto quella dello scorso settembre nell’area di Kharkiv, con penetrazioni profonde nelle difese russe. Anche prima dell’ammutinamento della Wagner, gli ucraini e i loro sostenitori erano consapevoli della crisi esistente nel vertice politico-militare russo. Lo stesso Putin sembrava incerto e demotivato. Non riusciva a far smettere gli insulti e le pesanti accuse di inefficienza e tradimento rivolte da Prigozhin al Ministro della difesa Shoigu e al Capo di Stato Maggiore Generale (SMG) Gerasimov.

Esse non si erano ancora estese alla critica distruttiva della “narrativa” usata da Putin per giustificare l’aggressione all’Ucraina e che tanto eco trovano in quelli che l’Economist denomina “gli utili idioti putiniani”, numerosi anche in Italia (genocidio dei russofoni da parte di Kiev, minaccia della Nato, inesistenza dell’Ucraina come nazione e sua “scippo” da parte di di nazisti e, secondo Kirill, anche di gay, e così via).

Tutto ciò faceva pensare che una sconfitta anche solo tattica facesse esplodere la crisi e inducesse il Cremlino a trattare. Una completa sconfitta era giudicata impossibile, eccetto nella propaganda di Kiev. Zelensky la propagandava anche perché la riteneva essenziale anche per mantenere unita la coalizione occidentale che lo sostiene. Elemento essenziale era la speranza di una rivolta dei militari russi, unica forza in grado di spodestare Putin dal Cremlino.

Manca in Russia un organismo, come era il Politburo nell’Urss, in grado di sfiduciare un presidente, come accadde a Kruscev due anni dopo la crisi dei missili di Cuba. Finchè Putin rimarrà al potere, qualsiasi accordo è impossibile. Non sono in gioco solo l’obiettivo di trasformare la Russia in una grande potenza globale, ma anche la sua sopravvivenza politica e forse anche fisica. Stranamente, non è stata mai dedicata molta attenzione ai rapporti civili-militari in Russia.

Tensioni fra il Cremlino e la “casta” degli ufficiali sono iniziate una ventina di anni fa e erano esplose quando nel 2001, per la prima volta nella storia russa, la carica ministro della difesa divenuto Sergei Ivanov, non proveniente dal mondo militare, ma ex-capo dell’Fsb e facente parte del “cerchio magico” che aveva seguito Putin da San Pietroburgo a Mosca. La frase pronunciata da Putin in tale occasione (“con la nomina di Ivanov, è iniziata la smilitarizzazione della società russa”) è indicativa delle tensioni esistenti fra le FF.AA. e i Servizi d’intelligence). Si trattava dell’atto conclusivo di un processo iniziatosi con il ritiro dell’Armata Rossa dall’Europa centrorientale e baltica. Finì allora l’autonomia, di tipo prussiano, della casta degli ufficiali. Nell’Urss, come nell’impero zarista, era “pagata” con l’astensione dalla politica dei militari e con cospicui loro privilegi economici e statutari. Ora vedevano minacciato il loro status.

La drastica ristrutturazione delle FF.AA. fu imposta dal 2007 dal secondo ministro civile della difesa – Anatoly Serdyukov – appartenente anch’esso al “cerchio magico” sanpietroburghese. Al Ministero si verificarono vere e baruffe, con dimissioni del Capo di SMG. La situazione era divenuta tanto insostenibile che Serdyukov dovette essere sostituito da Sergei Shoigu nel 2012, con il mandato di attenuare gli attriti fra Putin e i militari. La frattura però rimase. Si estese al corpo degli ufficiali, rompendone la tradizionale unità. Si crearono lotte per il potere e pesanti faide fra le varie “cordate”.

Ad esempio il gen. Surovikin, scomparso dopo l’ammutinamento della Wagner e ideatore della linea fortificata che ha arrestato la controffensiva ucraina, e il popolare gen. Popov, comandante della 58^ Armata, destituito brutalmente, appartenevano al gruppo dei riformisti di Serdyukov. Sono stati loro a far fallire la controffensiva ucraina e a indurre Kiev a mutarne strategia, dopo i primi baldanzosi e sanguinosi assalti di giugno con mezzi corazzati alle linee fortificate russe. Gli ucraini subirono allora enormi perdite, persero molti soldati e un quinto dei carri e mezzi corazzati ricevuti dall’Occidente, rioccupando solo una minima parte dei territori perduti.

Come Putin anche Zelensky è prigioniero dei propri slogan, non tanto per il morale delle proprie truppe e popolazione, che dimostrano un’incredibile tenuta, quanto per mantenere unita la coalizione che lo sostiene, resa vulnerabile dalla contestazione dei governi che sostengono l’Ucraina. Soprattutto in Europa, molti continuano a credere alla possibilità di compromesso con Putin, che non consista in una resa all’Ucraina e che una vittoria russa possa placare – e non invece stimolare, come credo – gli “appetiti imperiali” di Mosca.

Come quelli di Putin, gli obiettivi di Zelensky non sono mutati: raggiungere il Mar d’Azov e rompere il “ponte terrestre” fra la Russia e la Crimea, da tenere sotto la minaccia delle artiglierie ucraine, rendendone a Mosca troppo onerosa l’annessione. L’odio suscitato dalla brutalità e dai bombardamenti russi sulla popolazione e le infrastrutture ucraine rendono improbabile una riduzione degli obiettivi politici di Zelensky: la rioccupazione di tutto il territorio ucraino del 1991 e la subordinazione di qualsiasi accordo con Mosca a serie garanzie di sicurezza. Lo si voglia o no, ciò implica un coinvolgimento della Nato, che un nuovo governo russo potrebbe accettare solo in cambio di garanzie di sicurezza per la Russia, in pratica con l’impegno della Cina. È su questi che occorrerebbe puntare, offrendo a un nuovo governo russo condizioni accettabili. La richiesta alleata di resa incondizionata rese impossibile una tempestiva rivolta dei generali tedeschi contro Hitler.

Il punto centrale del dibattito sugli aiuti da dare all’Ucraina consiste nell’alternativa fra il fornirle un consistente numero di carri Abrams e F-16, oppure nel darle nuovi mezzi di fuoco terrestre in profondità, nella cui utilizzazione strategica gli ucraini si sono dimostrati molto capaci, come lo sono nell’impiego di drones terrestri e navali, con consistenti effetti più psicologici che militari sui russi. Questi ultimi sono meno resilienti alla minaccia. Non lottano per la sopravvivenza della loro patria come gli ucraini.

La consegna da parte Usa di nuovi e più potenti mezzi di fuoco potrebbe invece aumentare di molto le capacità d’attrito degli ucraini e, in particolare, provocare il collasso logistico delle forze russe. La superiorità ucraina nel fuoco in profondità è diminuita rispetto al passato, perché i missili terrestri disponibili – in particolare quelli dei lanciarazzi multipli Himars (gittata 84 km) – sono a guida Gps, intercettabili e resi imprecisi dalle rinnovate capacità russe di guerra elettronica. I nuovi mezzi che dovrebbero essere dati massicciamente a Kiev sono i Glsdb (Ground Based Small Diameter Bombs), con capacità di lanciare a 150 km una bomba da 113 kg; e l’Atacms (Army Tactical Missile System), con bomba di 227 kg e gittata di 300 Km. Entrambi sono a guida inerziale, non intercettabili dai russi.

Già ora le forze russe denunciano una carenza di munizioni, anche perché i loro depositi, come quelli di carburante, sono gli obiettivi privilegiati delle azioni di fuoco ucraine. L’arrivo dei nuovi mezzi, potrebbe mettere in grave crisi le forze russe, determinando l’“evento” per una rivolta militare armi sta aumentando la centralità della “guerra dei droni”. A parer mio, carri e cacciabombardieri non possono far molto per superare i 30 km di profondità che hanno le linee fortificate russe. Kiev deve accettare il fatto che il blitzkrieg della controffensiva non è possibile, anche perché le perdite dei suoi cittadini-soldati, necessari per la ricostruzione, sarebbero troppo rilevanti.

A parte tutto, gli Abrams hanno un motore a turbina, per la cui manutenzione è necessario personale altamente specializzato. Gli F-16, a parte le efficienti difese controaeree russe, sarebbero vulnerabili alla contro-aviazione russa e non disponibili prima della fine del 2023. A nulla servirebbe una nuova mobilitazione. L’aumento dell’età di leva da 27 a 30 anni non è stato fatto per aumentare gli effettivi militari, ma per evitare che i figli della borghesia, con la scusa di studi e di attività lavorative indispensabili, sfuggano al servizio militare. La Russia non potrebbe addestrare, armare e rifornire i 5 milioni di soldati di cui taluni hanno favoleggiato.



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