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Unconventional propaganda. Così Pechino promuove la sua immagine all’estero

Un’inchiesta del New York Times fa luce sulla fitta rete societaria costituita da un individuo americano fortemente legato a Pechino. Dagli Usa al Brasile, dall’India al Sud Africa, questo network agisce in modo coordinato nel promuovere una visione della realtà gradita alla Repubblica Popolare

Nell’arsenale di strumenti militari e/o politici a disposizione della Repubblica Popolare Cinese, la propaganda è sicuramente uno di quelli che Pechino reputa cruciali. La diffusione di notizie, vere o meno che siano, permette ai vertici del Partito Comunista di promuovere una narrativa del mondo che ci circonda estremamente favorevole per le proprie posizioni, con tutti i vantaggi economici, politici e diplomatici del caso. Date la portata e le implicazioni, è quasi scontato supporre che i gangli di questa macchina informativa si estendano ben oltre i confini della Repubblica Popolare. Un po’ meno immediato è il capire fino a che punto questo apparato possa penetrare nell’humus culturale e sociale del resto del mondo, arrivando a trovare sponde di approdo dentro al cuore stesso degli avversari di Pechino.

Una di queste sponde si chiama Neville Roy Singham. Noto esponente della galassia della sinistra radicale statunitense, oltre che fondatore della società di sviluppo software ThoughtWorks e imprenditore digitale di successo: in pochi anni Singham è infatti riuscito a trasformare la sua start-up in partner strategico per grandi aziende multinazionali, da Microsoft e dal The Guardian fino a Daimler e a Barclays. Ma anche Huwaei, di cui Singham stesso è stato ufficialmente consulente tecnico dal 2002 al 2008. Ed è forse in questo periodo che l’imprenditore americano ha stretto contatti con esponenti della nomenclatura cinese, contatti che in seguito avrebbero avuto un’importante influenza su di lui.

In seguito all’ascesa al potere dell’attuale segretario Xi Jinping, la Cina ha da una parte ampliato le operazioni dei media statali, mentre dall’altra si è associata a testate estere e ha coltivato “influencer” stranieri. Con l’obiettivo di mascherare la propaganda “home-made” come contenuto indipendente e spontaneo. E la rete costituita da Singham stesso, secondo quanto rivelato da un’inchiesta del New York Times, sembra agire proprio in questa direzione.

Dopo aver venduto la sua società per 785 milioni di euro, il magnate americano ha impiegato i fondi ricavati nella costituzione di un network di “gruppi di pressione”, caratterizzato dalla diffusione di informazioni pro-Cina. Il nucleo di questa rete sarebbe composto da quattro diverse organizzazioni no-profit, che paiono esistere solo sulla carta, e i cui documenti amministrativi non includono la figura di Singham tra quelle dirigenziali. Tuttavia, la più grande di queste quattro è guidata da Jodie Evans, attivista politica della far-left americana, fondatrice dell’organizzazione Code Pink, e consorte di Singham stesso. Mentre le altre tre sono state fondate da ex-impiegati della ThoughtWorks. Tramite il finanziamento di queste società (finanziamento che non può essere confermato da documentazione apposita a causa dell’attuale legislazione statunitense, ma che è stato suggerito dallo stesso interessato), Singham ha potuto far arrivare fondi ad una serie di realtà diverse.

Alcune sono situate su suolo statunitense; un esempio di queste rientra il Tricontinental, think thank del Massachussets che diffonde articoli e video legati al mondo del socialismo; tra gli impiegati del centro, risulta esserci Nathan Singham, il figlio di Roy. Ma anche Code Pink stessa risulta come destinataria di questi finanziamenti. Ed è singolare notare come da feroce critica delle azioni del governo cinese, la posizione di Code Pink e della sua fondatrice si sia completamente capovolta negli ultimi anni, in parallelo con l’arrivo dei finanziamenti da parte delle società legate a Singham e al matrimonio di quest’ultimo con Jodie Evans.

Altri snodi della rete tessuta da Singham si trovano all’esterno del territorio nazionale, e persino del continente americano. In Brasile, le tracce dei finanziamenti originati dalle quattro società nucleo conducono a Brasil de Fato, testata nota per i frequenti elogi nei confronti del Segretario del Partito Comunista Cinese. La testata Newsclick è invece la principale benefattrice in India: come da copione, sulle sue pagine essa promuove discorsi e operato del governo cinese.

In Sudafrica la rete di Singham è ancora più articolata: oltre a una rivista che promuove la propaganda cinese (chiamata New Lines), a beneficiare dei fondi del magnate americano è anche il Socialist Revolutionary Workers Party, un partito di recente creazione. Ex-membri del partito hanno sottolineato come, nonostante gli annosi problemi sociali ed economici del paese da affrontare, la direzione del Srwp fosse molto più sensibile a rafforzare i legami con la Cina e a promuoverne l’immagine in Sudafrica.

Ma se il cuore di questa rete sono le organizzazioni no profit, e gli arti sono le società finanziate in tutto il mondo, la testa si trova al 18°piano di un palazzo di Shangai: qui infatti è locato l’ufficio personale di Singham. Un ufficio che però condivide con un’altra società, nota come Maku, che si pone come missione “il raccontare correttamente la storia della Cina”. Una frase che risuona di propaganda. Esattamente come il motto che appare sul suo sito internet: “Always Follow the Party”.

Secondo alcune fonti mandarine, nel 2021 Maku avrebbe collaborato con un partner internazionale all’interno di un progetto dell’Università di Shangai per “raccontare la Cina” in inglese e cinese. Il partner in questione è il Tricontinental.

Un network che è un sistema di sistemi, dato che queste realtà si alimentano a vicenda sia nella realizzazione di progetti concreti, come dimostrato dal caso Maku-Tricontinental, che nella vita di tuti i giorni, rilanciandosi reciprocamente contenuti propagandistici sui canali social. Contenuti che sono stati promossi anche da altri account, con un peso decisamente maggiore: dal febbraio del 2020, gli account ufficiali dei media di stato di Pechino hanno retwittato almeno 122 volte i post o i tweet pubblicati da una delle realtà della rete di Singham.

Un legame, quello tra Singham e la Città Proibita, che pare innegabile. Con la sua partecipazione, testimoniata da fotografie che lo ritraggono, ad eventi organizzati dal Partito Comunista Cinese che fuga ogni possibile dubbio rimasto.

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