Pechino ha annunciato di voler rendere noto il presunto piano di Washington a seguito delle indagini sul cyber-attacco contro il Centro di monitoraggio terremoti di Wuhan. Ma finge di non sapere che lo spionaggio non è violazione del diritto internazionale
Esiste un “sistema di ricognizione globale altamente segreto” operato dal governo degli Stati Uniti che le autorità cinesi si sono impegnate a “divulgare pubblicamente” dopo le indagini sul presunto cyber-attacco americano contro il Centro di monitoraggio terremoti di Wuhan, denunciato a fine luglio. A scriverlo è il Global Times, organo in lingua inglese della propaganda del Partito comunista cinese.
La testata cita Xiao Xinguang, membro del comitato nazionale della Conferenza politica consultiva del popolo cinese e chief software architect dell’azienda di sicurezza informatica Antiy Labs. I dati sismologici hanno un “significativo valore di intelligence per giudicare il terreno geologico, analizzare test di sistemi d’armi e test nucleari”, ha spiegato. Secondo Xiao, “sfruttando la sua capacità globale di ricognizione, insieme a vari mezzi di intrusioni, furto e altre ampie misure per ottenere ogni tipo di dati telemetrici, e combinando altre fonti di dati ausiliari, [gli Stati Uniti] formano la capacità di analizzare, giudicare, attribuire e localizzare le operazioni economiche e sociali della Cina, e persino le azioni militari”.
Il giornale ha poi citato Du Zhenhua, ingegnere del National Computer Virus Emergency Response Center, secondo cui “l’uso da parte delle agenzie di intelligence militare degli Stati Uniti del loro vantaggio tecnologico per lanciare attacchi informatici all’infrastruttura civile è un atto criminale in palese violazione del diritto internazionale per danneggiare gravemente la sicurezza nazionale e l’interesse nazionale della Cina”.
Era stato sempre il Global Times a rivelare il cyber-attacco a Wuhan dopo che Microsoft aveva rivelato che un gruppo hacker noto come Storm-0558, con sede in Cina, aveva sfruttato una falla nel suo servizio di posta elettronica cloud per spiare agenzie governative negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale.
Quando gli hacker legati al governo cinese avevano colpito le aziende americane per rubare proprietà intellettuale Washington aveva parlato di violazione delle norme internazionali. Dopo il caso Storm-0558 non ha fatto lo stesso. È “la Cina che fa spionaggio”, ha osservato Rob Joyce, a capo della cybersecurity della National Security Agency (Nsa), ha detto all’Aspen Security Forum. E ancora: “È ciò che fanno gli Stati. Dobbiamo difenderci, dobbiamo reagire. Ma è qualcosa che accade”.
La differenza è tutta qui: la spionaggio non è una violazione del diritto internazionale nonostante le ambiguità di interpretazione della Carta delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti lo riconoscono e quando accusano altri Paesi di cyber-attacchi offrono dettagli e report, avviano processi. La Cina, invece, sembra voler considerare anche lo spionaggio una violazione del diritto internazionale. O quantomeno questa è la sua narrativa.
Quello attuale è un momento delicato per le relazioni tra Stati Uniti e Cina, anche per quanto riguarda l’intelligence. Venerdì le autorità cinesi hanno annunciato l’arresto di un cittadino cinese che era stato reclutato dalla Cia in Italia. Pochi giorni prima erano stati incriminati due marinai statunitensi e il loro presunto handler cinese. Ancora prima c’erano state scintille tra Washington e Pechino dopo che William Burns aveva dichiarato pubblicamente che la Cia, che guida, ha “fatto progressi” nel ricostruire la sua rete di informatori in Cina.
Pechino sembra voler rispondere a Washington con messo come la notizia dell’agente arrestato e l’annuncio del Global Times. Ma non è soltanto una risposta a Washington. Sembra anche il tentativo del regime di dare risposte ai cinesi e di puntare il dito contro il nemico che spia, che recluta, che corrompe mentre i numeri dell’economia iniziano a creare allarmi.