Nonostante la moneta nazionale cinese sia diventata la prima valuta nei pagamento transfrontalieri da e per il Dragone, il biglietto verde rimane il padrone indiscusso del sistema monetario globale. Intanto secondo Goldman Sachs cresce la sfiducia verso Pechino
No, lo yuan non sarà mai il dollaro. La Cina, che sogna un sistema monetario con baricentro Pechino e con il dollaro ridotto a fare la ruota di scorta, può metterci una pietra sopra. Gli economisti di Goldman Sachs, ne sono più che convinti, ma con le dovute precisazioni. Lo yuan avanza nel circuito dei pagamenti transfrontalieri, da e per la Cina. Ma da qui a disarcionare il biglietto verde, ce ne passa.
“Il renminbi cinese ha guadagnato quote di mercato nei pagamenti internazionali, in particolare nelle transazioni transfrontaliere del Paese, mentre i politici del Dragone spingono per un uso più ampio della valuta”, è la premessa di un report appena pubblicato dalla banca d’affari americana. “Tuttavia l’uso dello yuan rimane limitato a livello globale, soprattutto in relazione alle dimensioni del Pil cinese e alla sua influenza nel commercio. E questo nonostante a marzo 2023, la moneta cinese abbia superato per la prima volta il dollaro statunitense e sia diventato la valuta dominante nei pagamenti transfrontalieri della Cina, secondo i dati della China’s State Administration of Foreign Exchange”.
Secondo Goldman Sachs, “la quota di regolamento nei pagamenti transfrontalieri della Cina è salita al 47% nel 2021, quasi il doppio rispetto a cinque anni prima. La compravendita di attività in renminbi da parte degli stranieri è stata una delle ragioni principali dell’aumento. Tuttavia, l’uso dello yuan nei pagamenti a livello mondiale è ancora limitato: la sua quota di mercato globale è aumentata al 2,5% a maggio 2023, dall’1,1% alla fine del 2013, contro una quota del 43% del dollaro su scala globale (il 32% dei pagamenti internazionali è stato effettuato in questi mesi in euro, il 7% in sterline inglesi e il 3,2% in yen giapponesi)”.
Insomma, “lo yuan ha guadagnato quote di mercato e quindi ha fatto progressi nel funzionare come mezzo di scambio nei mercati globali. Ma i progressi appaiono lenti sotto altri aspetti. Sebbene la Cina stia diventando sempre più importante nei mercati globali dei beni, dei servizi e dei mercati finanziari, la seconda economia mondiale è ancora sottoposta a controlli sui capitali e il renminbi non è completamente libero di commerciare, il che potrebbe limitare i suoi progressi”.
E pensare che sono mesi che Pechino tenta in tutte le maniere di rafforzare lo yuan, nella speranza di eleggere la moneta nazionale cinese a nuovo baricentro monetario. Lo dimostrano tutta una serie di accordi con Paesi amici, finalizzati a garantire lo scambio di beni e servizi in valuta cinese: Russia, Brasile, Iran e persino la non sempre amichevole India.
Dal Paese verde-oro, ora guidato nuovamente dal socialista Lula, è arrivato nelle settimane scorse un accorato appello affinché i Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) scambino in yuan anziché in dollari. Lo stesso Lula, incontrando Xi Jinping, si è detto deciso ad avviare transazioni commerciali e finanziarie tra Brasile e Cina in moneta cinese anziché in real. Tutto pur di disarcionare il biglietto verde.
Tutto questo mentre Hui Shan, capo economista per la Cina di Goldman Sachs Research, si aspetta un ulteriore allentamento monetario nel Dragone, ma ritiene che il massiccio stimolo impiegato nelle precedenti fasi di recessione non sarà probabile. “In termini di entità, pensiamo che si tratti di un allentamento moderato”, ha dichiarato Shan nell’ultima puntata di Goldman Sachs Exchanges. “Ma non aspettatevi troppo, visto che l’obiettivo di crescita di quest’anno sembra a portata di mano e il governo si sta davvero concentrando sulla trasformazione, sulla ristrutturazione dell’economia, piuttosto che sulla progettazione di un forte aumento della crescita a breve termine”.
Secondo Shan, la mancanza di fiducia di imprese, investitori e consumatori sarà probabilmente il rischio maggiore che la Cina dovrà affrontare. “Non è una cosa che abbiamo visto nei cicli precedenti, questa radicata e pervasiva mancanza di fiducia nell’economia cinese”, spiega all’ospite Allison Nathan. “Purtroppo non sembra esserci una soluzione facile”.