A sei mesi dal disastro della Silicon Valley Bank a cui ha fatto seguito una raffica di downgrade, gli istituti statunitensi proseguono senza sosta con l’accantonamento di riserve con cui affrontare nuovi e possibili futuri shock. A cominciare dalla recessione
Se la prevenzione è la miglior cura, allora le banche americane sono sulla buona strada. Non si può certo dire che il 2023 sia stato un anno facile per il sistema finanziario della prima economia mondiale. Prima i fallimenti in sequenza della Silicon Valley Bank e di First Republic, due istituti di media taglia e profondamente legati al territorio e all’industria tecnologica, collassati per non aver retto all’urto dei tassi, pompati dalla Federal Reserve già un anno fa.
Poi lo spettro, in parte materializzatosi, di una maxi-svalutazione sui prestiti, con la ragionevole prospettiva di rivivere l’incubo dei subprime. Con il costo del denaro al 5,25%, rimborsare il mutuo costa a una famiglia molto di più rispetto a un anno fa, e per questo miliardi di finanziamenti sono già andati in sofferenza, portando a perdite stimate per 5 miliardi solo per quanto riguarda i primi sei istituti americani. Tanto basta a mettersi al riparo da sé, o almeno a provarci, nell’attesa che la riforma del sistema bancario a cui punta Joe Biden, che poggia sull’estensione delle garanzie pubbliche ai depositi sotto i 250 mila dollari.
Ecco perché le banche statunitensi da mesi stanno accantonando ingenti quantità di capitale, proprio per evitare che nuovi possibili shock, a cominciare dal rallentamento dell’economia globale che ormai sembra certo, mandino a gambe all’aria altri istituti. Le cifre, ancora ballerine, parlano di poco meno di 3.300 miliardi di dollari, in termine di riserve accumulate. L’accelerazione, ha scritto Reuters, sembra esserci stata soprattutto nei primi sei mesi del 2022, quando gli accantonamenti hanno registrato un aumento del 5,4% su base annua.
Gli esperti di Mood’y’s hanno pochi dubbi, “questa è una risposta logica a un’economia in rallentamento e in particolare a uno scenario in cui si verificano deflussi di depositi ed è necessario risparmiare liquidità”, ha affermato David Fanger, vicepresidente senior dell’agenzia di rating. Insomma, le banche a stelle e strisce non sembrano avere la memoria corta e fanno tesoro dei guai del passato, anche quello più remoto. E forse c’è di mezzo anche la paura. Meno di un mese fa la stessa Moody’s aveva abbassato i rating creditizi di dieci banche statunitensi di piccole e medie dimensioni, spiegandone i motivi: pressioni sul funding, debolezze del capitale regolamentare e rischi crescenti associati alle esposizioni immobiliari commerciali. Tanto è bastato per correre ai ripari.