Intervista all’economista, già membro del comitato esecutivo dell’Eurotower. Francoforte ha detto chiaro e tondo che i tassi sono verosimilmente all’apice e questo il mercato lo ha apprezzato. E comunque il costo del denaro è ancora al di sotto dell’inflazione. Per l’Italia sarà determinante la ripresa della Germania
Non è come sembra. Si fa presto a dire che la Banca centrale europea è la cattiva di turno, nemica della crescita, dopo il decimo rialzo consecutivo dei tassi, solo pochi giorni. Ma non è così, almeno a sentire Ignazio Angeloni, che l’Eurotower e le sue logiche le conosce bene, visto che oltre ad essere un economista di lungo corso e docente presso il Robert Schuman Center of the European University Institute of Florence, per diversi anni ha fatto parte del Comitato esecutivo della Bce.
La Banca centrale europea ha alzato ancora una volta il costo del denaro, deludendo le speranze del mercato, che si aspettava una pausa di riflessione. Ma è davvero necessario tale accanimento terapeutico, a danno della crescita?
Mi sembra che questa sia una lettura errata. Il segnale impartito dalla banca centrale è distensivo, non restrittivo. Il mercato lo ha percepito bene, tanto è vero che il cambio dell’euro si è indebolito e i tassi a lunga sono scesi e con loro anche lo spread dell’Italia.
Va bene, ma parlare di distensione non le sembra una forzatura?
No. La ragione per cui il segnale è distensivo è che l’aumento del tasso di 25 punti base era largamente atteso. Quella che non era attesa era la chiarezza con cui la presidente Lagarde ha detto che, allo stato delle informazioni, i tassi attuali hanno raggiunto un livello che, se mantenuto per un tempo sufficiente, contribuirà sostanzialmente al raggiungimento dell’obiettivo di inflazione. Un linguaggio molto chiaro, e un segnale di fiducia nella linea seguita finora. Al netto delle due cose, quindi, il mercato ha registrato un allentamento. C’è poi da dire un’altra cosa.
Prego.
Un tasso al 4%, questo è il livello rilevante per il mercato, non quello del 4,5% delle operazioni di rifinanziamento, che viene citato in Italia, è ancora inferiore all’inflazione registrata (5,3%) e anche alle valutazioni interne della stessa Bce per quest’anno. Al netto dell’inflazione, dunque, il tasso è ancora negativo. La Bce e tutti noi contiamo che questa situazione si inverta quando l’inflazione sarà scesa ulteriormente. Il rischio rispetto a questo scenario è che il ritmo della discesa rallenti, se l’inflazione si rivela ancora una volta più persistente di quanto stimato dalla Bce, o che addirittura si inverta se ci sono eventi contrari inattesi, per esempio ulteriori rincari dei prezzi delle materie prime o aumenti dei costi interni.
Anche il Pil dell’Europa però sta rallentando, ormai è un dato di fatto. Eppure certi Paesi, come i cosiddetti frugali, sembrano non accorgersene, continuando a sponsorizzare un rigore che Francia, Italia e persino la Germania non si possono permettere. Tornerà l’Europa a due velocità, sempre che non sia mai andata via?
Se ne accorgono bene, ma valutano che l’inflazione, oltre a essere un fatto indesiderabile in sé, sia il principale fattore di origine interna che contribuisce a contenere la domanda interna attraverso la perdita che impartisce al valore reale delle retribuzioni e della ricchezza liquida – quella tenuta in banca, per intenderci.
Conclusione?
La Germania ora rasenta la recessione. Sia la Bce sia la Commissione prevedono una ripresa, sia pur debole, il prossimo anno. La situazione dell’economia tedesca è determinante per l’Italia e per il resto dell’Europa. I suoi sviluppi dipenderanno in modo determinante da fattori internazionali, come l’economia cinese, l’energia, i dati geopolitici. Insomma, non credo che l’intonazione attuale della politica monetaria (con tassi reali ancora negativi o vicini a zero, come detto) mettano in pericolo le possibilità di ripresa dell’economia tedesca e di quella europea. Il momento congiunturale è comunque fragile e va monitorato con attenzione.