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Lagarde rimane falco. Francoforte non molla la presa sui tassi

L’Eurotower, al termine di un board che ha sancito la frattura tra i banchieri centrali, porta il costo del denaro al 4,50%, ma lascia intravedere la fine dei rialzi entro la fine dell’anno. Ora però la recessione potrebbe accelerare

La spaccatura c’era prima e c’è anche ora, raccontano i bene informati. Un nocciolo duro che non ne voleva proprio sapere di portare i tassi al 4,50%. E invece no, il decimo rialzo consecutivo è servito sul piatto, decisamente indigesto per tutti quei Paesi che speravano in una pausa di riflessione da parte della Banca centrale europea. Hanno vinto, ancora una volta, i falchi. E perso le colombe, come l’Italia, la Francia, la Spagna tra le prime economie d’Europa ma anche fortemente indebitate e per questo bisognose di una boccata di ossigeno sul costo del denaro. Ma niente, ancora una volta la sentenza è stata impietosa, senza appello.

Il tasso per le operazioni di rifinanziamento nella zona euro sale dal 4,25% di luglio al 4,50, quello dei depositi al 4%. A Christine Lagarde è bastato aggiornare le stime per l’inflazione nel 2024 al 3,2%, un po’ al di sopra dei precedenti calcoli. Tanto è bastato all’ex direttore del Fondo monetario internazionale diventata governatore della Bce per ribadire la propria linea oltranzista e gelare ancora mercato e Borse. Eppure, c’è una buona notizia, nonostante i 25 punti base che pesano come un macigno. Nel comunicato diffuso a valle del board, Francoforte, un po’ sibillina, scrive che i tassi potrebbero aver raggiunto il picco. Tradotto, forse può bastare così, anche se l’Eurotower ha abituato l’Europa alle sorprese.

E pensare che il governo italiano, non è certo la prima volta, aveva alzato la voce per mezzo del ministro degli Esteri e vicepremier, Antonio Tajani, invocando un pit stop. Che non è arrivato. Ora, viene da chiedersi, come la si può mettere con la possibile recessione alle porte (qui l’intervista all’economista, Fabio Fortuna)?  Di sicuro ai piani alti dell’Eurotower tira una brutta aria. I banchieri del nord Europa dall’altra, quelli dell’area mediterranea dall’altra, con più debito sulle spalle, certo, ma anche con una forza motrice decisamente superiore ai cosiddetti frugali.

Con la sponda del mercato si intende, visto che investitori e trader non ne vogliono da tempo più sapere di aumenti di tassi e di denaro col contagocce nell’economia. Di questa frattura, che sembra richiamare i tempi in cui si parlava di Europa a due velocità, con i buoni da una parte e gli svogliati da una parte, quelli per intendersi che non facevano i compiti a casa, ormai non si può più non tenere conto, a prescindere dalla futura gestione della politica monetaria.

Ci sono due ordini di fattori. Primo, l’Europa cammina pericolosamente sul ciglio della recessione, come ha raccontato la stessa Commissione europea, nell’aggiornamento delle previsioni di crescita per il 2023 e il 2024. E questo impone una politica monetaria che assecondi la crescita e non tenga solo conto della lotta all’inflazione, dando la sensazione più di una questione personale che di un valido aiuto all’economia. Poi ci sono i numeri, quelli che costringono tutti i giorni i titolari di mutuo a prendere penna e calcolatrice per fare i conti.

Oggi una famiglia con mutuo a tasso variabile a 25 anni sui 120 mila euro, paga oltre il 60% in più rispetto a un anno fa. Tradotto in numeri, la rata del mutuo viaggia ben oltre i 700 euro al mese. Dunque, il mutuatario si trova a pagare quasi 285 euro in più (+62%) rispetto alla rata iniziale di gennaio 2022. Ora che la Bce ha deciso di continuare con la stretta monetaria, la rata mensile del finanziamento è arrivata addirittura a 759 euro, con un aggravio di ben 303 euro rispetto a quella iniziale (+66%). Al contrario, se ci fosse stata una pausa, non sarebbe cambiato nulla. Ma così non è stato.

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