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Biofuel ed eFuels, il ruolo di Bruxelles e la partita da giocare tra mercato e investimenti

Di David Chiaramonti

Cui prodest l’opposizione ai biocombustibili sostenibili e agli eFuels, nonostante le evidenze che sono ormai emerse, e cioè che possono supportare gli obiettivi ambientali, sostenere l’economia agricola e l’industria, contribuire ad un suolo in maggior salute, e consentire ai settori elettrico ed idrogeno rinnovabile di svilupparsi nel tempo in un modo più bilanciato? L’analisi di David Chiaramonti (PoliTo)

Il regolamento CO2 passenger cars and light duty vehicles 

Tra le numerose azioni previste dal Green Deal nell’ambito della Transizione Ecologica, la revisione dello scorso giugno della “passenger car regulation” (Reg. 2019/631) con la definizione di nuovi “CO2 emission performance standards for new passenger cars and for new light commercial vehicles” (qui i dettagli) è certamente un passaggio cardine, con impatti di rilievo sia sugli aspetti ambientali che su quelli economici e sociali. In particolare, quelli relativi alle politiche industriali, agricole, ed alla dimensione internazionale, cioè al posizionamento della Unione europea e degli Stati membri in un contesto globale.

Nel corso dell’ultimo anno stiamo assistendo ad un dibattito molto politico e solo in parte tecnico tra chi propone una soluzione od un’altra: si contrappongono quindi tra loto elettrico, idrogeno, biofuel, e combustibili sintetici (detti anche eFuels o RFNBO, Renewable Fuel of Non Biological Origin, un acronimo non molto fortunato che indica i combustibili derivati da fonti rinnovabili diverse da quella bio, quindi solare o eolico su tutti).

Siamo già intervenuti più volte su questo tema. In realtà è ben chiaro e noto da tempo come:

  • Sia necessario utilizzare ogni soluzione possibile per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, vista la giusta ambizione degli obiettivi posti dall’Unione (-55% GHG al 2030 e Net Zero al 2050)
  • Le diverse opzioni vadano calate negli specifici contesti territoriali ed agroclimatici, e valorizzate al meglio nel contesto in cui si collocano. E’ la stessa Commissione Europea che distingue, correttamente, le diverse aree agroclimatiche Europee, soggette a diversi impatti climatici (si veda ad es il documento Clean Planet for All)
  • Tutti questi sistemi possano offrire contributi diversi e complementari al percorso di decarbonizzazione, che devono essere necessariamente integrati in modo sinergico e virtuoso
  • In termini di prestazioni ambientali, sociali ed economiche, le soluzioni debbano essere valutate (e quindi competere) in modo corretto, applicando cioè delle metodologie che tengano conto di tutti gli effetti a monte ed a valle, e non solo dell’impiego nel mezzo di trasporto. Confrontare cioè semplicemente il percorso coperto da un veicolo elettrico, uno alimentato ad idrogeno, uno a biocarburanti sostenibili ed uno ad eFuel senza tenere in considerazione l’intera filiera ed il complesso degli impatti non è scientificamente corretto, anche se spesso è proprio ciò che viene presentato al pubblico. Come abbiamo già spiegato su questo sito, nei trasporti il metodo di confronto deve essere di tipo Well-To-Wheel (WTW) e non Tank-To-Wheel (TTW), che invece è purtroppo impiegato nella CO2 Regulation: è questo il vulnus principale nella regolamentazione EU e, in ultima istanza, l’elemento che determina una non neutralità tecnologica da parte della Commissinoe Europea nelle valutazioni

Del resto, anche la stessa Commissione europea, attraverso il Joint Research Center, ha esaminato l’importanza di adottare il metodo TTW nelle valutazioni.

La posizione della Commissione europea in tema di eFuels (RFNBO) e Biofuels nella CO2 regulation

Negli ultimi mesi e settimane la discussione si è accesa su cosa siano i CO2 Neutral Fuels. Come recentemente riportato in un articolo di EURACTIV, la Commissione europea e in particolare la DG Clima ha chiesto di innalzare il livello di decarbonizzazione degli eFuels dal 70% al 100%, ed ha contestualmente escluso i biofuel sostenibili dalla definizione di Carbon Neutral Fuels. Questa azione, a nostro avviso arbitraria e tecnicamente non sufficientemente motivata, ha delle conseguenze immediate che a grandi linee possiamo così riassumere

  • Impone un ulteriore sforzo ai produttori di eFuel, una tecnologia ancora ai primi passi, e che con grande difficoltà potrà raggiungere il livello Net Zero richiesto
  • Esclude i biofuel sostenibili, senza una reale motivazione tecnica, quando questi sono gli unici che possono ragionevolmente essere Carbon Neutral od addirittura Carbon Negative (a seconda delle filiere selezionate)
  • Pone sulle spalle dei costruttori la condizione che i motori a combustione interna che potranno essere ancora commercializzati dal 2035 in avanti siano alimentati esclusivamente ad eFuels. Essendo gli eFuels principalmente idrocarburi rinnovabili diventa difficile comprendere tecnicamente come un motore possa capire se in quel momento sia alimentato a benzina o gasolio rinnovabile, o se invece da un combustibile fossile.

Di fatto, si torna all’elettrico ed alla chimera (almeno per l’obiettivo del 2030) dell’idrogeno come unica soluzione percorribile a priori. In realtà c’è molto di politico e poco di scientifico in questo approccio.

Non dimentichiamo la dimensione del problema: ricordiamo che i consumi europei nel 2022 sono stati pari a circa 258 MTOE di Diesel/Gasoil, 73 MTOE di Benzina, 38.5 MTOE di Jet/Kerosene. Non è sufficiente dunque realizzare qualche impianto pilota o dimostrativo per avere un impatto, ovviamente, ma occorre raggiungere (prima) la piena scala industriale e (poi) replicare in grande numero queste filiere ed impianti, con un notevole impegno industriale oltre che finanziario e burocratico autorizzativo, e quindi tempi.

Carbon Neutral Fuels, Carbonio e CO2

Il tema vero di cui si dovrebbe discutere è come rendere sostenibili i trasporti, e quali strade percorrere per non rilasciare ulteriore Carbonio fossile (ed altri gas serra) in atmosfera (Carbon Neutral), o meglio ancora come rimuovere questa CO2 dall’atmosfera (Carbon Negative). Questo nei diversi settori denominati “passenger cars, light duty vehicles, heavy duty vehicles, aviation e maritime”. O anche, o soprattutto, come riportare il Carbonio “buono” nel suolo…

La necessità di rimuovere CO2 dall’atmosfera è ormai chiara da anni, certamente almeno dalla COP di Parigi (No scenarios are at all likely to keep warming under 1.5ºC without greenhouse-gas removal. “It is built into the assumptions of the Paris agreement,” Gideon Henderson, Oxford University. COP23, Bonn[8].). Anche su questo tema siamo già intervenuti in passato, sottolineando come non sia il Carbonio il problema od il nemico, ma piuttosto come mettere a disposizione più Carbonio rinnovabile e bio, riportandolo là dove è più necessario (il suolo, in primis, ma non solo).

Per rimuovere CO2 dall’atmosfera possiamo ricorrere a soluzioni come il DACS (Direct Air Capture Sequestration), che in realtà rappresentano un costo energetico (come evidenziato dalla IEA stessa) e che forniscono un flusso di CO2 concentrata che deve successivamente essere sequestrata in profondità (costo netto) o convertita – tramite la preventiva produzione e l’impiego di idrogeno rinnovabile – in combustibili come gli eFuels (carbonio riciclato, biogenico o meno a seconda dell’origine).

In realtà esistono già filiere bio Carbon Negative, e che invece di CO2 restituiscono Carbonio, facendo così una enorme differenza con il caso della CO2. E’ la natura stessa, in questo caso, a fare il lavoro, tramite il processo fotosintetico (che è opportuno intensificare nell’ottica della transizione ecologica). Il Carbonio – soprattutto se di origine biogenica – è un elemento di cui la nostra società ha drammaticamente bisogno e di cui non può fare a meno, sia nei prodotti che nell’energia. In agricoltura – per la salute del suolo, nell’industria (es Cemento ed Acciao) – come reagente o vettore energetico, nei più svariati materiali (dai polimeri ai tessuti avanzati, sino addirittura all’impiego per la conservazione degli alimenti), nella cosmetica e nella farmaceutica, nella mangimistica, nella depurazione delle acque e dei gas, etc). Il biochar può coprire molti se non tutti questi impieghi.

Nel settore dei biocombustibili esistono già esempi virtuosi in cui il nostro Paese è eccellenza e che possono essere Carbon Negative:

  • Il modello Biogas Done Right, ad esempio: in particolare, quando vengono usate materie prime come deiezioni animali e colture di rotazione, come indicato nella Direttiva REDII stessa all’Annesso VI, i cui digestati sostituiscono i fertilizzanti chimici con quelli di origine biologica, a valle della produzione di biometano
  • I modelli di produzione di biocombustibili sostenibili basati sulla carbonizzazione di residui lignocellulosici in biochar, modelli che sequestrano e rimuovono Carbonio in modo permanente dall’atmosfera (long lived Carbon) aiutando i suoli degradati ricostituendo – assieme a compost, ad esempio, o digestati – la salute del suolo. Questo è particolarmente necessario nell’area del Mediterraneo, dove sono stimati oltre 8.5 Mha in corso di degradazione a causa degli impatti climatici, come studiato nel progetto Europe S2BIOM.

Di nuovo, è la Commissione stessa che riconosce questo importante elemento. Lo troviamo ad esempio nel concetto di Low ILUC Feedstock, presente nell’atto delegato della REDII, su cui è appena terminato il progetto europeo BIKE, e dove è stato sviluppato un modello di certificazione Low ILUC. E nel progetto europeo BIO4A, dove è stata studiata non solo la produzione di biofuel Carbon Negative, dimostrando questa possibilità, ma sono stati recuperati terreni aridi che altrimenti sarebbero stati improduttivi alla produzione food e feed. In questo progetto, grazie all’intervento del settore energetico (biofuel sostenibili su terreni degradati), si sono riportati in produzione questi suoli, alternando la coltura della Camelina (per biojet) con quella di Orzo (food e feed).

Si stanno dunque dimostrando possibili modelli Reverse ILUC (Indirect Land Use Change). Un sasso nello stagno dei preconcetti nei confronti dei biocombustibili, con cui prima o poi i policy makers dovranno confrontarsi, affrontando il concetto di ILUC da una prospettiva completamente ribaltata.

I settori devono integrarsi in modo virtuoso, e non competere escludendosi a vicenda

L’integrazione delle filiere è uno dei punti nodali del modello bio, ed è assolutamente necessario (diremmo inevitabile). Per citare una fonte certamente al di fuori della dinamica strettamente europea, UN ICAO (Int.Civil Aviation Organization delle Nazioni Unite) ha prodotto due documenti, il primo del 2017 ed il secondo del 2022, che sostanzialmente ribadiscono la stessa conclusione: anche sostituendo tutti i combustibili convenzionali (cioè fossili) con combustibili sostenibili (rinnovabili, nella maggior parte) non si otterrebbe comunque il risultato Net Zero. Il report ICAO del 2017 stimava in un massimo di del 63% l’effetto, quello del 2022 (Long Term Aspirational Goal report, che ha simulato tre scenari, più o meno ambiziosi), oscilla tra il 39% e l’87%, con uno scenario medio che si colloca al 68% (non lontano quindi dalla precedente stima del 63%).

In sostanza, ICAO:

  • mostra come la compensazione delle emissioni sarà comunque necessaria in qualsiasi scenario, e lo sarà tanto più quanto meno saremo in grado di raggiungere gli obiettivi fissati, in particolare al 2030.
  • Non solo: ICAO spiega che sono necessarie misure intersettoriali, cioè misure dove ad esempio il settore energia e quello agricolo dialoghino ed in modo virtuoso si integrino, in contrasto con quello che consente oggi, ad esempio, il sistema EU ETS (Emission Trading Scheme). Questo considera esclusivamente misure intrasettoriali – dove cioè ciascun operatore obbligato ETS deve decarbonizzare internamente le proprie emissioni -, e che non prevede azioni Carbon Negative, invece possibili. La revisione al 2026 del sistema EU ETS dovrebbe consentire un sistema di crediti più aperto a queste integrazioni, che consentono approcci win win tra i diversi settori.

È dalla integrazione intelligente delle filiere che si aprono le maggiori possibilità di decarbonizzazione, cioè dalle soluzioni complesse e non da quelle semplici ed ideologiche. Purtroppo le società moderne tendono a rifuggire la complessità, e questo favorisce la semplificazione eccessiva, che porta poi a procedere per slogan. Ma nel lungo termine la realtà industriale, tecnologica, agricola, economica emerge per quello che è, ed inevitabilmente si va incontro ad un bagno di realtà.

Quindi, in conclusione, cui prodest l’opposizione ai biocombustibili sostenibili e agli eFuels, nonostante le evidenze che sono ormai emerse, e cioè che possono supportare gli obiettivi ambientali, sostenere l’economia agricola e l’industria, contribuire ad un suolo in maggior salute, e consentire ai settori elettrico ed idrogeno rinnovabile di svilupparsi nel tempo in un modo più bilanciato, con curve di industrializzazione e deployment più equilibrate e credibili?

L’Unione europea rischia infine di divenire marginale nel contesto internazionale, dove le diverse aree del mondo stanno muovendosi su tutte le soluzioni che consentono di decarbonizzare i trasporti, incluso ovviamente quello dei biocombustibili sostenibili, identificandoli come una opportunità di sviluppo sostenibile. Si vedano ad esempio la Global Biofuel Alliance del G20, la Biofuture Platform, la Global Bioenergy Partnership, le raccomandazioni IEA al G20, l’alleanza dei costruttori giapponesi sul tema dei biofuel sostenibili, etc, a cui peraltro numerosi Stati membri dell’Unione europea partecipano.

Sarebbe saggio per l’Unione europea assumere una posizione coerente ed efficace, e porsi anche in ambiti quali la cooperazione con l’Africa con un atteggiamento propositivo e di sviluppo. Senza stimolare ulteriormente l’importazione di componenti critici, chip, o prodotti forniti dall’Asia e in particolare dalla Cina, come recentemente affermato anche dal Commissario Breton.

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