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Le sanzioni funzionano. Il caso indiano e la morsa sulla Russia

Per la prima volta alcune aziende indiane hanno visto mettersi sotto chiave i propri asset, in virtù dei loro legami commerciali con imprese russe. Nuova Delhi reagisce, mentre Mosca ricatta l’Occidente, chiedendo lo scongelamento dei propri beni in cambio del nulla osta a lasciare il Paese. Dimostrando di subire il colpo

Le sanzioni, quelle mosse dall’Occidente contro la Russia, cominciano a incunearsi nel fronte dei Brics, reduce dal summit di Johannesburg (qui l’intervista all’ex ministro dell’Economia e presidente della Commissione Esteri della Camera, Giulio Tremonti). Un elemento questo che potrebbe esasperare alcune divisioni in essere all’interno del gruppo: mentre la Cina, che già non gode di ottima salute per problemi più interni che esterni, diventa meno rilevante come motore dei Brics, e mentre l’India, tra le grandi economie globali quella con il ritmo di crescita, diventa sempre più l’alternativa di riferimento, la Russia si conferma il problema di fondo.

Piccolo pro memoria. Le sanzioni di ultima generazione prevedono la possibilità di colpire tutte quelle aziende che fanno affari con la Russia, a cominciare dagli scambi commerciali fino ad arrivare alle transazioni di denaro o allo scambio di moneta. Dunque, chiunque venga trovato con le mani in pasta con la Russia e le sue imprese, è suscettibile di congelamento degli asset. Ed è proprio quello che è successo all’India di Narendra Modi.

Nuova Delhi ha chiesto agli Stati Uniti di consentire il rilascio di 26 milioni di dollari appartenenti ad almeno due aziende diamantifere indiane che erano stati congelati proprio a causa dei loro presunti legami commerciali con la major russa Alrosa (la Federazione è il primo mercato globale dei diamanti). Gli asset sono stati congelati all’inizio di quest’anno a causa delle sanzioni statunitensi su Alrosa imposte nell’aprile 2022 dall’Ufficio di controllo dei beni esteri del Tesoro degli Stati Uniti.

Ora, la messa sotto chiave dei beni delle suddette aziende, rappresenta ad oggi la prima misura sanzionatoria conosciuta che va a colpire un’azienda indiana dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. E soprattutto è il primo vero tentativo, riuscito, di applicare le sanzioni formato extra-large a una delle principali economie globali, l’India per l’appunto. La quale ha reagito per interesse nazionale. La vicenda è tecnica, Washington non intende in questo momento creare tensioni con Nuova Delhi, ma il messaggio è chiaro: stando troppo vicini a Mosca si rischia di scottarsi. Inoltre, dimostra le capacità delle misure statunitensi confermando un ruolo ancora centrale della super-potenza americana nel sistema economico globale.

La storia però non finisce qui, perché c’è l’altro capitolo, che è quello russo. E sempre di Brics si parla. Stavolta la reazione, il cui sapore è quello del ricatto, arriva direttamente da Mosca, segno intangibile che le sanzioni stanno a loro modo funzionando. Come ha raccontato Bloomberg, infatti, la Russia sta imponendo costi crescenti per tutte quelle aziende di matrice occidentale che ancora non hanno lasciato la Federazione. In cambio, per allentare la morsa, Mosca chiede per l’appunto lo scongelamento dei beni allocati presso le banche straniere, su per giù 300 miliardi di dollari.

“Abbiamo dichiarato la nostra posizione, la quale non cambia: saremo duri nel lasciare andare le banche e le aziende straniere, dipenderà dalla decisione di scongelare gli asset russi”, ha detto Alexei Moiseev, viceministro delle finanze russo. I commenti di Moiseev arrivano mentre Vladimir Putin continua a imporre misure sempre più punitive alle aziende che cercano di uscire dal mercato russo. Nonostante mille di queste abbiano annunciato che avrebbero tagliato volontariamente i ponti col Cremlino dopo l’inizio della guerra in Ucraina nel febbraio del 2022, solo 535 aziende hanno dato l’addio al Paese, secondo uno studio in corso dell’Università di Yale.

Ma non è per mancanza di tentativi: oltre 2.000 aziende stavano cercando l’approvazione per uscire dal mercato russo, ma i progressi sono stati lenti, tra l’altro a causa di ritardi logistici. Mosca addebita inoltre alle società in uscita una commissione di uscita pari ad almeno il 10% del valore di vendita dell’attività locale. Insomma, un ricatto, bello e buono.

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