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Il centrodestra italiano si può esportare in Ue, ecco come. Parla Saccone

L’esponente popolare dell’Udc: “L’errore da non commettere? Far prevalere gli interessi della campagna elettorale sugli interessi della coalizione, perché questo sarà un autunno non facile da gestire. Mi piace molto il tono di responsabilità usato da parte del premier, dove da un lato si accentuano le cose positive che si sono fatte e dall’altro però si segnala che vi sono delle difficoltà”

Si può esportare lo schema del centrodestra europeo anche in Ue, dice a Formiche.net l’ex senatore dell’Udc Antonio Saccone, secondo cui l’istantanea domenicale che ritrae Meloni e von der Leyen, accanto a Salvini e Le Pen dimostra due cose: è evidente che vi siano sensibilità diverse, altrimenti esisterebbe un partito unico di centrodestra ma al contempo vi è comunanza di visione su un tema strategico come migrazioni ed essendo in piena campagna elettorale “spesso i toni, talvolta, si alzano, poi magari si addensano e poi magari si correggono”.

Da un lato Meloni e von der Leyen, dall’altro Salvini Le Pen mostrano due concetti europei agli antipodi ma che, se legati, potrebbero consentire al centrodestra di poter esportare la coalizione italiana in Europa. È d’accordo?

Assolutamente si può fare, anche da posizioni diverse. Non ci deve essere totale omogeneità di vedute altrimenti ci sarebbe il partito unico del centrodestra, per cui è evidente che ci siano sensibilità diverse. Peraltro la Presidente del Consiglio è indiscutibile, riveste un ruolo istituzionale e diverso rispetto a tutti gli altri. Oltre a essere leader del partito, è il premier e quindi entra in una fattispecie che è diversa in termini di responsabilità rispetto agli altri soggetti politici e, quindi, deve necessariamente interloquire con l’Unione europea che in questo momento è guidata da una coalizione composita, che va dal centrodestra alla sinistra.

I punti in comune sono più che i punti divisivi?

I conti con la realpolitik il presidente del Consiglio li deve necessariamente fare. Questo però non implica nella maniera più assoluta avere vedute diverse su un tema strategico quale quello dei migranti: pensare di affrontarlo con una visione limitata agli ombelichi di ogni singolo Paese è molto limitante. Oggi vediamo che vengono colpiti i Paesi di frontiera, ma immediatamente dopo sarà coinvolta l’intera Europa, per cui o vi è un approccio solidale in questi termini o le tematiche resteranno non gestite. Ma non è tutto.

Ovvero?

Non nascondo che siamo in piena campagna elettorale per cui i toni, talvolta, si alzano, poi magari si addensano e poi magari si correggono. Non bisogna dimenticare che un conto è fare una campagna elettorale investendo sul ruolo delle responsabilità politiche, un conto è farla anche da posizioni di governo: ciò necessariamente implica responsabilità per questioni che meritano la massima attenzione in una fase molto delicata come quella attuale.

La visita di Von der Leyen a Lampedusa, dopo quella strutturata organizzata sempre da Meloni con Rutte a Tunisi, può essere vista come un modello virtuoso?

Se l’Europa non cambia, l’Europa finisce di sicuro. Ma non finisce per colpa di uno dei soggetti, bensì per le rivendicazioni che vengono dai singoli Stati sovrani per cui oggi vi è l’esigenza di garantire l’unità dell’Unione Europea quando questa è capace di dare soddisfazione ai bisogni dei singoli Stati ponderati: sono bisogni pragmatici e con un’attenzione particolare alla solidarietà. Credo che il paradigma dell’Unione europea debba cambiare per non rischiare di tornare indietro nel tempo, anche in termini economici, all’austerity. Se dovesse prevalere la tesi del ‘chiudiamoci dentro i confini’ è ovvio che il futuro dell’Europa sarebbe segnato. Questa visita per me assume un valore simbolico per il futuro dell’Europa e il fatto che a presiedere la Commissione sia un esponente del Partito popolare europeo non nascondo che testimonia una maggiore affinità e sensibilità su un tema strategico come le migrazioni.

Quale l’errore che il centrodestra italiano non deve commettere per arrivare a meta?

Far prevalere gli interessi della campagna elettorale sugli interessi della coalizione, perché questo sarà un autunno non facile da gestire. Mi piace molto il tono di responsabilità usato da parte del Presidente del Consiglio, dove da un lato si accentuano le cose positive che si sono fatte e dall’altro però si segnala che vi sono delle difficoltà oggettive e che il Paese deve rispondere in modo corale, ma anche determinato. Questa narrazione è sintomo di responsabilità e anche di acquisizione della consapevolezza del ruolo che si ricopre e non può essere influenzato dalla campagna elettorale perché altrimenti il rischio è che si perda tutti. Le elezioni politiche in Spagna non segnalano proprio questo? L’accentuazione dei toni non ha fatto prevalere, come era invece prevedibile dei sondaggi, il centrodestra.

In questo contesto come si inserisce ad esempio il richiamo di Draghi?

Io penso che il contributo di Draghi vada nell’indirizzo di voler cambiare il volto dell’Europa, quell’Europa dei conti che saltavano. Del whatever it takes, pronunciato da Draghi alla vigilia di altre elezioni europee significative, credo che ce ne sia ancora bisogno, paradossalmente forse anche più di prima.

Per quale motivo?

Perché oggi siamo a un bivio, tra una possibile recessione e l’esigenza di un nuovo rilancio: Draghi è il testimone migliore del cambio del paradigma dell’Europa. Non possono prevalere astratti ragionamenti macro-economici rispetto a quella che è la carne viva costituita dal popolo europeo e dei popoli dei singoli Paesi.

Negli ultimi giorni sui giornali italiani è sorto anche un dibattito sulla ipotetica postura democristiana di Giorgia Meloni. Che ne pensa?

Il presidente del Consiglio non è più solo il capo di un partito nel nostro Paese. E quand’anche lo fosse, una volta arrivato a Palazzo Chigi diventa il capo dell’intera nazione con sensibilità diverse. Che non significa rinunciare alla propria identità, ma significa mediare con interessi diversi per non rischiare di essere isolati. In quel caso si farebbe propaganda da Palazzo Chigi e il governo non potrebbe permetterselo. Giorgia Meloni sta dimostrando una capacità di gestione ampia e diplomatica che ci fa ben sperare.

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