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La resa delle banche cinesi. E anche di Xi

​Dopo aver contestato e tentato di opporsi a nuovi tagli ai tassi, gli istituti del Dragone accettano la decisione di Pechino sui mutui. Mentre il leader cinese sembra aver perso le speranze per una ripresa dell’economia nazionale

Alla fine, dopo aver alzato un polverone, le banche cinesi si sono piegate ai voleri di Pechino. Era lo scorso agosto quando i grandi istituti del Dragone, stufi di tassi troppo bassi che erodono i margini e polverizzano i ricavi, si misero di traverso, respingendo l’idea di Pechino di ridurre ancora il costo del denaro per ridare fiato ai mutui e dunque al mattone. Ma alla fine ha vinto ancora il Palazzo. Cinque delle principali banche statali cinesi hanno dovuto ammettere di malavoglia, che inizieranno ad abbassare ancora una volta i tassi di interesse sui mutui esistenti per la prima casa, nell’ambito di una serie di misure di sostegno annunciate da Pechino nelle ultime settimane.

Game over? Forse. Quello che è certo è che le grandi banche cinesi alla fine hanno piegato la testa, dopo che le autorità di regolamentazione cinesi hanno annunciato la scorsa settimana misure per aiutare gli acquirenti di case in un contesto di crescente preoccupazione per la salute della seconda economia mondiale e di una serie di crisi nel settore immobiliare della nazione. Ma questa è solo una parte del racconto. C’è da capire se il nuovo tentativo di ridare linfa all’economia del Dragone, produrrà i suoi effetti.

A sentire gli esperti di Foreign Policy, la risposta è no. Xi Jinping farebbe bene a tenersi pronto a bere l’amaro calice della fine del miracolo cinese e della stagnazione. “Il presidente cinese Xi ha sempre saputo che la questione di fondo per la Cina era quando, e non se, il miracolo economico cinese avrebbe raggiunto il suo apice. Anticipando la tempesta economica, Xi ha trascorso molti anni a chiudere i boccaporti e gettare le basi ideologiche per la sua mossa più audace mai realizzata: trasformare la Cina da un colosso dipendente dalle esportazioni e gravato dal debito in una potenza resiliente e autosufficiente”. Peccato che le cose non siano andate così.

Ma “finora, la risposta di Xi si è limitata a un magro stimolo dal lato dell’offerta: a parte i tagli marginali dei tassi di interesse e alcuni sussidi minori al consumo, che non sono riusciti a stimolare la crescita, i politici cinesi hanno fatto capire alle imprese, ai consumatori e ai governi locali di non aspettarsi ulteriori aiuti. Parlando ai laureati, lo stesso Xi ha consigliato loro invece di masticare amarezza e di considerare di trasferirsi in campagna per svolgere lavori umili”. Insomma, il leader cinese pare essersi arreso all’evidenza di un Paese incapace di rialzarsi? Pare proprio di sì.

Chissà perché, dopo aver inveito per anni che “le case servono per viverci, non per speculare”, Xi non ha battuto ciglio quando il colosso cinese dell’edilizia Evergrande ha dichiarato bancarotta e un altro conglomerato immobiliare, Country Garden, ha annunciato di essere sull’orlo del default. Insieme, entrambe le società rappresentano circa il 40%.delle vendite di case in Cina. Ora, gli investitori cinesi potrebbero rimanere senza la loro nuova proprietà. Ma al leder cinese interessa?

 

 



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