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Pechino, l’Occidente e i non-allineati. La versione di Nietsche (Cnas)

Da Taiwan al G20, passando per la guerra in Ucraina e la Belt and Road Initative, l’esperta del Center for a New American Security delinea quale sia la postura globale della Repubblica Popolare guidata da Xi

In un sistema internazionale sempre più turbolento, il ruolo della Repubblica popolare cinese come attore primario continua a essere innegabile. È, direttamente o indirettamente, coinvolta in quasi tutte le questioni rilevanti all’interno dell’odierno contesto globale. Per delineare brevemente il suo ruolo all’interno delle stesse Formiche.net ha avuto l’occasione di parlare con Carisa Nietsche, associate fellow all’interno del Transatlantic Security Program del Center for New American Security.

La narrativa anti-occidentale promossa da Pechino si sta diffondendo a livello globale o il successo di questa operazione di information warfare è invece più limitato?

Diversi Paesi non allineati, dall’Africa all’America Latina passando per il Medio Oriente, non solo hanno accettato la narrazione anti-occidentale promossa da Pechino, ma ne sono stati una cassa di risonanza, soprattutto in seguito allo scoppio del conflitto in Ucraina. La narrativa cinese ha avuto un particolare successo su questi Paesi, in quanto studiata proprio per fare leva sulle quelle rimostranze che essi nutrono da decenni nei confronti dell’Occidente. Ma non è tutto bianco o nero: nonostante la larga diffusione della narrativa di Pechino, la maggior parte dei Paesi non allineati è disposta a stringere partnership sia con l’Occidente che con la Cina.

A tal proposito, il leader cinese Xi Jinping ha disertato il vertice del G20, inviando così il messaggio che per la Cina il vertice nazionale di riferimento rimane quello dei Brics (sia nella sua forma attuale sia in quella futura e allargata). Tuttavia, molti dei membri di quest’ultimo vertice hanno partecipato anche al G20, dimostrando la volontà di cooperare con il “nemico” di Pechino, l’Occidente. Quali dinamiche si stanno sviluppando?

I Paesi non allineati di tutto il mondo mantengono la loro vantaggiosa posizione di “fence sitter”. La capacità di giocare su entrambi i fronti ha portato enormi benefici ai Paesi non allineati, che possono trarre guadagno sia da una partnership con l’Occidente che da una con la Cina. Per l’assenza di Xi dal G20, direi che essa dev’essere interpretata come un segnale, tanto di evidenza delle tensioni che esistono tra la Cina e l’India, Paese ospitante del G20, quanto del livello relativamente basso di importanza che Xi attribuisce a questo forum internazionale rispetto ai Brics, di cui la Cina è leader.

Che ruolo avrà l’India-Middle East-Europe Economic Corridor (Imec) in questo contesto di confronto tra mondo occidentale e mondo cinese?

L’Imec è stato presentato come una contropartita alla Belt and Road initiative della Cina. Sebbene sia improbabile che i Paesi si allontanino completamente dall’accettare gli investimenti di Pechino, l’Imec rappresenterà un’ulteriore opzione per i Paesi che desiderano diversificare gli investimenti ricevuti, riducendo così il peso relativo di Pechino. Con tutte le conseguenze del caso.

L’approccio coercitivo di Pechino nei confronti di alcuni Paesi potrebbe compromettere lo sviluppo di ulteriori relazioni con altri attori del sistema internazionale? In che modo?

L’approccio coercitivo di Pechino ha una duplice valenza. Alcuni Paesi, per paura di ritorsioni, non sono disposti a porsi in contrapposizione alla Repubblica Popolare. Allo stesso tempo per altri Paesi la wolf warrior diplomacy di Pechino è stata un campanello d’allarme, causa di una certa riluttanza a instaurare o a portare avanti una collaborazione in svariati settori con la Cina. Ad esempio, quando l’Australia ha chiesto un’indagine sulle origini del Covid-19, Pechino ha risposto imponendo restrizioni commerciali su alcune esportazioni australiane. Questa misura ha solo rafforzato lo scetticismo sulle azioni e le intenzioni della Cina nell’opinione pubblica e nel governo australiani.

Che impatto ha la questione di Taiwan sulla posizione diplomatica della Cina a livello internazionale?

Spesso, la risposta della Cina ai Paesi che approfondiscono i legami con Taiwan provoca una reazione eccessiva da parte della Cina che si ripercuote sulla sua posizione diplomatica a livello globale. Ad esempio, quando la Lituania ha permesso a Taiwan di aprire un Ufficio di rappresentanza taiwanese a Vilnius (con il nome di Taiwan invece di Taipei), Pechino si è vendicata tagliando gli scambi commerciali con la Lituania. Allo stesso modo, quando il presidente della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, ha visitato Taiwan nell’agosto 2022, Pechino ha lanciato esercitazioni militari intorno all’isola. La questione di Taiwan rappresenta uno dei punti più sensibili, e allo stesso tempo prioritari, della diplomazia di Pechino.

La Repubblica Popolare ha assunto una posizione ambigua sull’Ucraina, posizionandosi a metà tra il “nemico” occidentale e l’“alleato” russo. Quali sono le ragioni di questa scelta?

Pechino sta cercando di posizionarsi come potenza neutrale sull’Ucraina – un obiettivo coerente con la sua politica dichiarata di non intervento negli affari degli altri Paesi. Tuttavia, le sue azioni raccontano una storia diversa: sebbene la Cina non abbia ancora armato (almeno in modo diretto) la Russia, i rapporti dell’intelligence statunitense indicano che Pechino potrebbe aiutare la Russia a eludere le sanzioni. Inoltre, il Dragone ha rilanciato i discorsi e la narrativa di Mosca sulla guerra in corso, accusando la Nato e gli Stati Uniti di aver provocato la Russia, fino a costringerla a lanciare l’attacco all’Ucraina. Ufficialmente, la Cina si pone come sostenitore di una soluzione negoziata, di cui proprio lei potrebbe assumere il ruolo di mediatore. Tuttavia, ritengo improbabile che Pechino sia disposta a spendere il capitale politico necessario per mediare e raggiungere un accordo negoziale sulla guerra in Ucraina.

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