Al centro dell’analisi l’impiego dei droni nei conflitti più recenti, studiato al fine di trarre importanti lezioni. Lezioni che l’Alleanza Atlantica dovrebbe apprendere rapidamente, per evitare di trovarsi in una situazione di svantaggio
“Gli Uncrewed Aircraft System (Uas) sono diventati elementi essenziali della guerra moderna e il loro ruolo si espanderà in futuro, rendendo urgente per la Nato e per i singoli alleati un rapido adattamento a partire da ora”. Con queste parole si apre il report del Center for European Policy Analysis, dal titolo “An Urgent Matter of Drones”, scritto da Federico Borsari e da Gordon B. “Skip” Davis Jr.
Il conflitto in corso Ucraina è stato, e continua tutt’ora ad essere, un’importante occasione per comprendere come le innovazioni tecnologiche, dottrinarie ed industriali si riflettano sulla conduzione delle operazioni militari a 360 gradi. L’impiego dei droni è uno degli aspetti che ha avuto maggiore risalto, a causa del rilevante impatto operativo che essi hanno avuto nelle dinamiche belliche. Il report del Cepa affronta le lessons learned in questo ambito contestualizzandole all’interno del sistema Nato, dentro al quale individua le criticità presenti e suggerisce delle linee-guida da seguire per colmare i vuoti esistenti.
Gli analisti del Cepa offrono una panoramica completa dell’utilizzo degli Uas negli ultimi 10 anni, non limitandosi al solo contesto ucraino, da cui si possono evincere alcuni trend importanti: dopo un primo momento di “gloria” i droni più pesanti e costosi (chiamati in gergo Male, per Medium Altitude Long Endurance) come il turco Bayraktar Tb-2 hanno perso la loro straordinaria efficacia sul campo di battaglia, poiché la reazione adattiva delel forze armate die vari paesi a questo fenomeno ha reso il loro impeigo molto più difficile e “pericoloso”. Al loro posto stanno adesso trionfando droni più piccoli, tanto di origine militare che di origine commerciale, assieme alle cosiddette loitering munitions: molto più economici e facili da produrre, questi apparecchi possono essere utilizzati in quantità decisamente maggiori rispetto ai droni più sofisticati e costosi, abilitando e facilitando lo svolgimento tanto di operazioni di Isr (Intelligence, Recognition, Surveillance) quanto di ingaggio e distruzione di determinati obiettivi. Questa massiccia diffusione degli Uas ha sollevato anche la questione dei mezzi necessari per contrastarli, che devono soddisfare sia il requisito operativo che quello dell’efficienza economica: utilizzare missili da milioni di dollari per abbattere macchine che costano una frazione della stessa cifra non è assolutamente sostenibile.
In un secondo momento, il report si concentra sull’assessment delle capacità unmanned di cui dispone l’Alleanza Atlantica. Se si esclude il programma di sorveglianza integrato Alliance Ground Surveillance, la Nato non. Dispone di una struttura condivisa, e deve fare conto sugli arsenali dei singoli Stati membri. Le differenze da Stato a Stato sono però marcate, sia in termini quantitativi che in termini di modelli impiegati, differenze che potrebbero inficiare in qualche modo l’interoperabilità complessiva. Anche in questo caso vi sono però delle differenze tra diverse categorie: mentre i droni di piccola taglia (definiti come Class-I e Class-II in gergo Nato) sono molto più diffusi nelle forze armate dei vari Paesi, quelli di stazza maggiore (Class-III) sono ancora troppo poco diffusi. Una vulnerabilità a cui è necessario porre rimedio. Gli sforzi dell’Alleanza in questa direzione vengono affrontati in seguito nel report insieme alla questione del dominio navale, di quello spaziale, e dell’Intelligenza Artificiale.
Nell’ultima sezione del documento, gli analisti del Cepa individuano le principali sfide che l’Alleanza deve superare per riuscire a perfezionare il programma di sviluppo di capacità unmanned. Sfide di differente natura: dall’interoperabilità ai deficit quantitativi e qualitativi, dall’autonomia del singolo apparecchio alla sua survivability, dall’addestramento del personale specializzato all’ottenimento di capacità anti-drone.
In chiusura dell’analisi vengono formulate alcune policy recommendations per affrontare al meglio la questione: sfruttare gli insegnamenti dei recenti conflitti per valutare e affrontare le capacità Uas e anti-Uas nel pianificare gli sviluppi tecnologici e prevedere le sfide del futuro; sviluppare le capacità Uas e anti-Uas secondo i principi di scala e interoperabilità, così come dagli imperativi delle operazioni multidominio; migliorare gli strumenti di intelligenza artificiale, l’architettura dei dati, le reti di comunicazione e le capacità cibernetiche e spaziali; sfruttare al meglio la significativa innovazione, migliorando al contempo la sperimentazione operativa e i processi di approvvigionamento; infine, perfezionare o stabilire una dottrina alleata congiunta con concetti operativi e tattiche, tecniche e procedure per coprire i nuovi ruoli assunti dai droni nella guerra moderna.