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Extra-profitti, chi ci rimette secondo il prof. Mirone

Più che incostituzionale, demagogica. La tassa sugli extraprofitti, bocciata sia dal mondo degli istituti di credito che dalla Bce, non serve a dare beneficio alla collettività. Anzi, a rimetterci sarebbero i depositanti. Una caccia al colpevole, che non risolve i problemi strutturali del mercato. Cosa fare? Stimolare la concorrenza affinché le banche offrano soluzioni migliori ai clienti. Conversazione con il docente di diritto bancario all’Università di Catania

“Incostituzionalità”. La presa di posizione dell’Abi contro il provvedimento del governo che introduce la tassazione sugli extra-profitti degli istituti di credito è durissima. E i rilievi mossi dall’associazione bancaria non si limitano ai dubbi sulla compatibilità della norma con la Carta, ma vanno oltre. “Violazione del principio di libera concorrenza nella prospettiva di una discriminazione”. A questo si aggiunge una posizione molto netta assunta a livello europeo dalla Bce: “La tassa non deve servire a risanare il bilancio”. Insomma, scontenti tutti. “Ma il punto non è la costituzionalità o meno del provvedimento. Ma il fatto più grave è che con questa misura si crea un danno ai depositanti”. A dirlo a Formiche.net è Aurelio Mirone, docente ordinario di Diritto bancario all’università di Catania.

Una sorta di eterogenesi dei fini. Perché sarebbero danneggiati i depositanti?

Perché c’è un disallineamento tra il motivo dell’intervento normativo (i bassi livelli dei tassi pagati dalle banche sui depositi) e le ricadute effettive che esso avrà sulla collettività. Se i fondi ricavati dovessero servire ad “alleviare” i debitori delle banche, si creerebbe una sorta di sussidio incrociato tra depositanti e mutuatari.

La Bce parla di rischi di stabilità sul mercato creditizio. È così?

Condivido il contenuto dell’intervento della Banca Centrale Europea. Il rischio è evidente. E dipende dall’ammontare del prelievo. Più è ridotto il prelievo, minore è il rischio di destabilizzare il mercato creditizio.

Come vede la proposta dell’Antitrust di fissare un minimo di deposito per legge?

Sono estremamente critico. Mi pare una proposta estremamente dirigista e che configurerebbe, ancora una volta, un grosso rischio per la tenuta dell’intero sistema bancario. Introdurre ulteriori elementi di rigidità non è certo una strada consigliabile. Anzi, il mio suggerimento per l’Antitrust sarebbe quello di verificare l’adeguato livello della concorrenza nel mondo bancario italiano. Ricordo che, stando agli ultimi dati, sotto questo profilo il nostro Paese non brilla: metà del mercato è nelle mani di cinque soli player.

Va detto, comunque, che gli istituti di credito vengono da un periodo particolarmente florido dal punto di vista delle marginalità. O è una lettura distorta anche questa?

L’anno scorso sicuramente hanno avuto una grossa marginalità, ma c’è anche da dire che vengono da anni in cui le marginalità erano estremamente basse anche in virtù delle forti politiche espansive assunte a livello europeo.

Insomma, questa misura non interviene in maniera strutturale. 

No, è una misura di natura politica e dal sapore demagogico. Mi sembra più che altro una dimostrazione del fatto che il governo debba trovare un colpevole. Servirebbero, invece, interventi sul sistema. Partendo, ad esempio, dallo stimolo alla concorrenza per fare in modo che le banche offrano condizioni migliori ai clienti.

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