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Napolitano Presidente. Il ricordo di Fassino dell’elezione a Capo dello Stato

“Ebbi un ruolo fondamentale per l’elezione di Napolitano al Quirinale. Ero segretario dei Ds e, dopo la vittoria dell’Ulivo, in effetti la nostra proposta era quella di candidare D’Alema”, poi invece… Il ricordo di Piero Fassino

Giorgio Napolitano la scena politica l’ha calcata da protagonista. Un uomo la cui esperienza ha travalicato le tante epoche che hanno caratterizzato la vita pubblica del Paese. Fino a diventarne il massimo rappresentante. L’undicesimo Presidente della Repubblica. Prima, fu tante altre cose. Dall’esperienza all’Europarlamento, passando per le tante legislature a Montecitorio, la presidenza della Camera, Ministro degli Interni nel primo governo Prodi e un’infaticabile militanza nel Partito Comunista Italiano. Fu un testimone e un protagonista della svolta che il segretario Enrico Berlinguer volle per il partito. L’approdo, doveva essere l’Occidente. La frattura con Mosca, inevitabile. Il Pci, con Napolitano “diventò un partito europeista, indipendente dai partiti comunisti a livello internazionale”. La testimonianza è quella di Piero Fassino, deputato del Pd e “discepolo politico” del presidente emerito della Repubblica.
Onorevole Fassino, Napolitano è stato un grande uomo delle istituzioni ma prima di tutto un uomo di partito. Quale era la sua visione del Pci?

Pur con un profilo diverso da quello di Enrico Berlinguer, Napolitano ha contribuito in modo decisivo alle svolte che Berlinguer impresse al Pci: il riconoscimento della Nato, la centralità dell’Unione europea, la rottura con Mosca, l’avvicinamento alla socialdemocrazia europea. Per lui fu naturale sostenere la svolta di Achille Occhetto e la fondazione del Partito Democratico della Sinistra. E fu determinante il suo impegno per l’immediata adesione del nuovo partito alla Internazionale Socialista, che poche settimane dopo la nascita del PDS proprio lui e io formalizzammo in un bellissimo incontro con Willy Brandt

I rapporti con Gonzalez, Mitterand, le visite negli Stati Uniti. La politica estera era il suo faro?

Napolitano fu un uomo di relazioni internazionali ad altissimo livello. Innanzi tutto con i leader socialisti europei con cui coltivo intense e costanti relazioni. Ma fu anche il primo dirigente comunista ad essere invitato ufficialmente negli Stati Uniti in una missione di altissimo livello in cui durante membri del governo, esponenti del Congresso, accademici, membri di think tank ebbero l’occasione di conoscere il Pci e comprenderne l’originalità. Napolitano fu il primo dirigente Pci a visitare Israele, dove stabilì un forte legame tra la sinistra italiana e il mondo ebraico.

Napolitano interpretava la sensibilità che fu di Giorgio Amendola, all’interno del Pci.

Sì, la sensibilità riformista che immaginava un Partito Comunista Italiano proiettato verso un’evoluzione europeista, saldamente ancorato alla Nato e all’Occidente e in un rapporto organico con la socialdemocrazia europea.

Alcuni muovono a Napolitano l’accusa di aver perpetrato delle ingerenze durante i suoi mandati da Presidente della Repubblica. Lei come la vede?

Mi sembra un’accusa del tutto infondata. Napolitano ha esercitato in modo autorevole il ruolo di garanzia che il nostro sistema istituzionale assegna al Presidente della Repubblica. Come peraltro hanno fatto, ognuno con il suo stile, tutti i presidenti della Repubblica, da Pertini a Scalfaro a Ciampi fino a Mattarella. E Napolitano quel ruolo lo ha esercitato con rigore e severità, sempre rispettando rigorosamente le prerogative del Capo dello Stato. Peraltro ricordo che Napolitano ha ricoperto l’incarico presidenziale in anni turbolenti di crisi economica, di crisi del sistema politico e di accentuata sfiducia di una parte dell’opinione pubblica nei confronti dei partiti. Ed è emersa con ancora maggiore forza la sua autorevolezza morale e politica.

La “vostra” prima scelta nel 2006 fu Massimo D’Alema. Poi che successe?

Ero segretario dei Ds e, dopo la vittoria dell’Ulivo, in effetti la nostra proposta era quella di candidare D’Alema. Di fronte alle difficoltà che incontrammo su quell’ipotesi decidemmo di “virare” su Napolitano.

E il suo nome fu accettato di buon grado?

Ebbi un confronto con Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini che apprezzarono, ma rimettendo la valutazione finale a Berlusconi. Chiamai Silvio Berlusconi e gli comunicai il nome che avevamo indicato. Lui mi rispose che Napolitano non era il suo candidato, ma che riconosceva il valore della nostra scelta. Tant’è che il centrodestra non voto’ Napolitano, ma senza frapporre alcun ostacolo alla sua elezione

Lei quando conobbe il presidente emerito?

Ho avuto la fortuna di una lunga e intensa frequentazione. Lo conobbi quando negli anni ‘70 iniziai a dirigere il partito a Torino e poi dalla metà degli anni ‘80 in poi quando assunsi incarichi nazionali. Ho avuto la fortuna di lavorare tantissimo tempo con lui, nei molti anni di mio impegno sulla politica estera e poi da Segretario dei DS. E ho tantissimi ricordi di mille momenti di impegno comune. Tra noi si era creato un rapporto intendo di stima e amicizia. Per me Giorgio è sempre stato un riferimento costante. Da lui ho imparato moltissimo e posso dire che lo considero uno dei miei padri politici. Come del resto, penso di poter dire che lui mi considerasse un suo affezionato “discepolo”.

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