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Contro la sirena autocratica Mosca-Pechino, l’assist dall’India al G7 italiano

La comunità internazionale è spaccata dall’aggressione russa all’Ucraina e dalla rivalità Usa-Cina. Ma ci sono sfide epocali da affrontare, come i cambiamenti climatici che fanno della collaborazione multilaterale un imperativo categorico. Il commento dell’ambasciatore Stefano Stefanini, già rappresentante permanente dell’Italia alla Nato e consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica

Per oltre trent’anni G20 ha svolto la funzione di consiglio d’amministrazione della comunità internazionale. Quel G20 non esiste più. Era un G20 inteso a valorizzare la dimensione cooperativa delle maggiori economie mondiali. Passa la mano a un G20 frammentato dalle rivalità geopolitiche mondiali – politicamente essenziale per parlarsi, operativamente limitato per agire. Rinuncia al minimo comune multiplo per accontentarsi del massimo comun denominatore. E quando l’area del consenso è evanescente si rifugia, come si dice in gergo diplomatico, nell’essere d’accordo sul non essere d’accordo (agree to disagree). Ma teniamocelo stretto: i grandi Paesi emergenti ne sono diventati l’ago della bilancia. E con loro abbiamo bisogno di collaborare.

Anche ridimensionando le aspettative. L’approccio minimalista ha trovato il compromesso dell’ultim’ora sull’Ucraina nel linguaggio mutuato dalla Carta Onu sull’integrità territoriale. In teoria, è una vittoria di principio per Kyiv che vede riaffermata la propria rivendicazione dei confini internazionalmente riconosciuti che sono quelli pre-2014, Crimea e tutto il Donbas compreso. Ma per la Russia, presumibilmente, l’integrità territoriale ucraina va misurata al netto delle annessioni dichiarate quindi, paradossalmente, protegge anche queste ultime. Intanto il comunicato non menziona, come invece faceva quello del G20 di Bali, l’aggressione russa come se la guerra fosse calata dal cielo sull’Ucraina.

Non per questo il G20 diventa meno importante per gli equilibri mondiali. Anzi, forse diventa ancor più cruciale per mantenere un minimo di dialogo multilaterale tra campi diversi, che in larghissima approssimazione possono essere identificati in tre gruppi: Occidente; Cina-Russia; blocco neutrale. L’unico altro foro dove sono presenti tutti e tre sono le Nazioni Unite dove però la rappresentatività si stempera nell’universalità.

Il cambio di stagione del G20 era nell’aria da tempo. Nato nel 1999 a livello di ministri delle Finanze e banchieri centrali, promosso a capi di Stato e di governo al vertice di Washington del 2008, dopo la grande crisi recessiva americana e internazionale, il formato, largo ma non troppo, aveva lo scopo di offrire un coordinamento economico-finanziario al mondo globalizzato. In spirito di cooperazione perché nel mondo globalizzato o si cresce insieme o si cala insieme. Tutti o vincitori o tutti vinti. Proprio l’uscita dalla crisi del 2008, che aveva evocato fantasmi degli anni Trenta del secolo scorso, specie in America, dimostrò che la formula funzionava efficacemente: economicamente e industrialmente rappresentativa (oltre l’80% del Pil mondiale), leggera e agile nel formato, capace di impostare decisioni di comune e collegiale interesse senza vincolare direttamente i partecipanti. Quel G20 è finito. Il vertice di Delhi segna forse il netto giro di boa.

La fine del G20 “cooperativo” è imputabile a due dinamiche che spaccano la comunità internazionale, l’una legata alla sicurezza europea severamente incrinata dall’aggressione russa all’Ucraina, l’altra alla rivalità Usa-Cina che ha per teatro principale l’Indo-Pacifico ma investe l’intera scena mondiale. Questo malgrado la persistenza di sfide epocali come i cambiamenti climatici che fanno della collaborazione multilaterale un imperativo categorico. In effetti questa dimensione rimane ben presente nel G20, ma è purtroppo oscurata dallo spartiacque geopolitico che contrappone Occidente, da una parte, Russia e Cina, dall’altra. Mosca e Pechino non sono legate da un’alleanza formale quanto da un rapporto di reciproca convenienza. Che però non va sottovalutato finché la convenienza è reciproca – e in questo momento lo è. Questo il motivo per cui non possiamo aspettarci la bacchetta magica di Pechino per mettere fine alla guerra ucraina.

In questa contrapposizione le sorti del G20 sono legate al crescente peso del terzo gruppo di Paesi che, con sfumature diverse, hanno optato per una linea neutrale sulla guerra in Ucraina – meno chiaro quanto prendano le distanze dalla rivalità sino-americana. È un gruppo tutt’altro che coeso ma che vede nel G20 un foro efficace per farsi sentire e dove determinare il punto di caduta. Questo è esattamente quanto avvenuto a Delhi. La presidenza indiana ha riportato un doppio successo. Primo, Narendra Modi ha innalzato la statura nazionale dell’India, anche a spese della Cina – quali che siano i motivi della “diserzione” di Xi Jinping, gli assenti non giustificati hanno sempre torto. Non guasta anche in vista delle elezioni della prossima primavera, preoccupazione che non turba i sonni del presidente cinese o di Vladimir Putin. Ma l’India resta la più grande democrazia del mondo.

Secondo, l’India si è ritagliata un ruolo leader nell’eterogeneo gruppo di Paesi non schierati, che ricorda il vecchio “Nam” (Movimento Non Allineati) ma ha oggi un ben superiore economico (e comprende potenze nucleari…) e gioca a geometrie variabili fra Washington, Pechino e Mosca. Questo, ad esempio, permette a Delhi di forgiare una “partnership strategica” con gli Usa per contenere la Cina, di intensificare i rapporti economico-commerciali con la Russia e di giocare la carta Brics insieme a Brasile e Sud Africa. Equilibrismo? Certamente, ma finchè le condizioni internazionali lo consentono, l’India non fa altro che perseguire i propri interessi nazionali.

A una decina di giorni dal vertice Brics di Johannesburg, il G20 di Delhi ha infine messo a nudo il tallone d’Achille del tentativo russo-cinese di fare dei Brics, in allargamento, un blocco anti-occidentale. I tre Paesi chiave – India, Brasile, Sud Africa – non disdegnano l’idea ventilata da Xi di un mondo in cui non sia l’Occidente a dettare le regole. Ma questo non significa che si accodino a quelle della sirena autocratica Mosca-Pechino. La partita è aperta. Questo è l’assist di Delhi alla presidenza italiana del G7 che, oltre a consolidare la coesione occidentale, punta ad allacciare un ponte con la fascia dei Paesi neutrali, o “Sud Globale”.



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