L’Aquila d’oro alla giornalista di La7, con il suo Testa alta, e avanti (Mondadori). “Un libro che ho scritto per tutti coloro che non hanno la forza di raccontare queste ingiustizie”, dice la figlia del conduttore perseguitato dai magistrati. Il premio Granzotto all’editorialista del CorSera Federico Rampini
“Quegli occhi non erano più gli stessi. Guardò dentro la telecamera, ma non era più lui”. Dove eravamo rimasti? Chiese Enzo Tortora, dopo le angherie giudiziarie che lo colpirono ingiustamente. La risposta è, forse, nell’aquila d’oro che è volata – per la 59esima volta – sul palco del teatro Abbado di Ferrara. Applausi, infiniti. C’è ancora chi spera e lotta. Testa alta, e avanti. Gaia Tortora vice un’edizione del Premio Estense che probabilmente rappresenterà un lieve balsamo per una ferita che ancora sanguina. Il libro della vice direttrice del Tg La 7 e conduttrice di ‘Omnibus’ raccoglie il favore del pubblico. Già prima dell’annuncio della vittoria. Basta quel cognome. Che rappresenta un monito per la memoria collettiva di un Paese che non ha ancora fatto i conti con gli abissi di una coscienza inzozzata dalla mala giustizia. Di più. “Quella contro mio padre – dice tra il commosso e il risoluto l’autrice dialogando con Cesara Buonamici – non è stata malagiustizia. È stato un accanimento”.
Anche la direttrice di Qn-il Resto del Carlino, Agnese Pini (componente della giuria tecnica), al momento della presentazione, definisce l’opera di Tortora un “libro politico, capace di suscitare emozioni potenti. Turbamento, commozione”. La prospettiva è quella di una ragazzina, a cavallo tra fanciullezza e adolescenza, che negli occhi non ha più i sogni. Ma un grande incubo. Il padre, Enzo, tra i conduttori più apprezzati dell’epoca, vittima di uno fra i più devastanti casi di mala giustizia del Paese. Gogna. Manette. Il ‘caso Tortora’, analizza Pini «deve far riflettere sui pericoli di un sistema, che ha tra le sue articolazioni la politica, la giustizia e la stampa». Insomma, chiude la direttrice di Qn, “a rendere straordinario questo libro è la dimensione di intimità che Gaia riesce a trasferire raccontando una pagina di storia collettiva del Paese”. Al momento della consegna del premio, Gaia Tortora è sull’orlo del palco. Tra presidente e vicepresidente di Confindustria Emilia, Valter Caiumi e Gian Luigi Zaina. “Questo è un libro che ho scritto per tutte le persone che non hanno la forza di farlo – scandisce l’autrice. E il mio auspicio è che possa arrivare alle giovani generazioni”. Le stesse verso le quali sono indirizzate proprio le esortazioni dei vertici di Confindustria, promotrice dell’evento, e della manager di Azimut, Monica Liverani.
La quartina di finalisti del premio era di assoluta qualità. E, come ripete a più riprese il presidente della giuria tecnica, Alberto Faustini, “durante la votazione c’è stato un forte dibattito”. Tant’è che Tortora e Paolo Borrometi (in lizza con ‘Traditori’) hanno tentato un blitz durante le votazioni per proporre un ex aequo. “Decisione respinta immediatamente”, ironizza Faustini. Eppure, anche le preferenze per il vice direttore dell’Agi sono state parecchie. A colpire, anche nel suo libro, è l’impegno civile orientato, dice l’autore, «alla ricerca della verità». Marcello Sorgi si è avventurato nel racconto di una piccola storia che intreccia quella con la S maiuscola. “Mura”. Il soprannome di una scrittrice che, pur essendo allineata ideologicamente al fascismo, ne fu vittima. Censura. E poi la morte su sui si allunga l’ombra del sospetto, perso nelle pieghe del tempo. “I paradossi dei regimi totalitari”, sintetizza Alessandra Sardoni (giornalista di La7 e componente della giuria). Sempre rimanendo nel Ventennio, l’ex direttore di Repubblica, Ezio Mauro, si dedica al 1922. All’anno della Marcia su Roma. Un excursus, dettagliato mese per mese che, tra le altre cose, racconta “l’errore della classe dirigente che tentò, portando il fascismo al governo, di normalizzarlo. Senza tuttavia aver fatto i conti con Mussolini”.
La parentesi internazionale è affidata all’editorialista del Corriere della Sera, Federico Rampini. Per lui, la colubrina d’oro: il premio Gianni Granzotto. Si toglie gli occhiali, rigorosamente tondi. Si assesta le bretelle. E, se il Pietro Gallesio di ‘Un giorno di fuoco’ nelle parole di Beppe Fenoglio diede la parola alla doppietta, lui ha dato la parola proprio alla colubrina. Perché, esorta, “è vero, come sosteneva l’amico Andrea Purgatori (ricordato in apertura di cerimonia assieme al presidente emerito, Giorgio Napolitano), che è bene che non spari questa colubrina. Ma è altrettanto vero il detto latino: si vis pacem, para bellum”. La risposta è alle sollecitazioni di Buonamici sulla guerra in Ucraina. “Viviamo – scandisce il cronista – un momento in cui l’Europa sta pagando anni di letargo sul piano geopolitico. E, l’Occidente, sembra vivere un crollo di autostima che porta a una decadenza”. E le elezioni europee? “Mi spaventano di più, da cittadino americano, le elezioni negli Stati Uniti”. Dove eravamo rimasti? Alla guerra fredda.