Le istituzioni lanciano l’allarme su un pericoloso fenomeno di spionaggio che coinvolge individui cinesi in cerca di informazioni sensibili negli Stati Uniti. All’apparenza innocui turisti, potrebbero in realtà avere fini tutt’altro che culturali
Fingersi turisti e mettersi in posa, scattando selfie e fotografie a sé stessi e all’ambiente circostante. Ma anziché opere d’arte o paesaggi suggestivi, inquadrando nell’obiettivo della macchina fotografica strutture militari e altri siti ritenuti sensibili dal governo americano. O ancora, avvicinarsi a installazioni belliche o ad aeree ad accesso limitato durante un’escursione subacquea. Sono solo alcuni esempi del pericoloso trend denunciato dagli apparati di sicurezza statunitensi, che vede come protagonisti individui d’origine cinese definiti come Gatecrashers (intrusi, imbucati ndr), per il loro entrare senza autorizzazione in zone ad accesso limitato contenenti materiale segreto al pubblico. Individui che agirebbero sotto ordine diretto del governo di Pechino, con lo scopo di ottenere utili informazioni e allo stesso tempo di testare il funzionamento delle misure di sicurezza. Una nuova forma di spionaggio non-convenzionale (ammesso vi siano attività di spionaggio convenzionali) che anima la guerra di intelligence in corso tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese, a pochi mesi di distanza dalle tensioni causate da un sospetto pallone spia cinese che orbitava nei cieli americani. Secondo funzionari americani, i casi registrati sarebbero superiori alle 100 unità.
Le motivazioni sono le più disparate: dal raggiungere un fast food situato dentro ad una base militare (come riportato dal Gps, che rende quindi questi casi i più credibili) all’aver riservato una stanza in hotel o strutture di pernottamento comprese in un’area il cui accesso è vietato al pubblico. Una volta bloccati dalle guardie, tali individui ricorrerebbero a schemi predisposti e a frasi preparate per giustificare le loro violazioni, come quelle già riportate, o ancora l’essere turisti ed aver preso una strada sbagliata.
La Casa Bianca, il Pentagono, il Dipartimento per l’Homeland Security e il Federal Bureau of Investigation hanno tutti rifiutato di commentare la questione. Mentre si è espressa al riguardo l’ambasciata cinese a Washington, che tramite la sua portavoce Liu Pengyu ha rigettato le accuse, asserendo che “le affermazioni in questione sono puramente delle invenzioni malintenzionate” ed esortando i funzionari statunitensi competenti ad “abbandonare la mentalità da Guerra Fredda, a cessare le accuse infondate e a fare di più per rafforzare la fiducia reciproca tra i due Paesi e l’amicizia tra i due popoli”.
L’esperta del Center for Strategic and International Studies di Washington Emily Harding sottolinea come la componente numerica sia rilevante, e che anche le differenze istituzionali tra i due paesi favoriscano la Repubblica Popolare nella sua azione. “Il vantaggio che hanno i cinesi è che sono disposti a impiegare persone in gran numero per raccogliere dati. Se alcuni di loro vengono catturati, sarà molto difficile per il governo degli Stati Uniti dimostrare qualcosa che vada oltre la violazione di domicilio, e quelli che non vengono catturati probabilmente raccoglieranno qualcosa di utile. La maggior parte degli incidenti negli Stati Uniti può essere perseguita solo per violazione di domicilio, quindi il governo cinese fa finta di nulla per coloro che vengono catturati. Questo sarebbe improbabile se un americano venisse catturato in Cina, anche perché sarebbe improbabile che quest’ultimo ottenga quello che noi consideriamo un processo equo”, sono le parole dell’esperta.
Nel frattempo, il Congresso sta già valutando di promulgare una legislazione specifica per contrastare atti di questo tipo. Il rappresentate democratico Jason Crow ha espresso i propri timori riguardo al fatto che, in assenza di una normativa ad hoc, questo genere di casi potrebbe scivolare in zone d’ombra ed intercapedini giudiziarie.