Il collegamento Imec ha aperto a nuovi scenari per la connettività Europa-Asia, rinvigorendo anche progetti come il Corridoio di Mezzo o l’Iniziativa Tre Mari. L’Italia ha una connotazione geostrategica perfetta per essere nodo cruciale del nuovo sistema di connessioni
Durante il recente vertice del G-20, i leader mondiali hanno svelato i piani per la creazione di una rete ferroviaria che attraversa la regione mediorientale, collegando i porti mediterranei di Israele a quelli del Golfo Persico e del Mar Rosso, con l’India e l’Europa. Se ne è parlato molto, il progetto è noto con l’acronimo “Imec”, e il suo valore supera quello infrastrutturale. Questo ponte commerciale terrestre/marittimo mira infatti a collegare le economie di Europa e India e, per estensione, Asean, Giappone, Corea del Sud, Australia e Taiwan.
In sintesi, questo progetto ha il potenziale per ringiovanire in modo significativo le reti di connettività tradizionali attraverso l’Eurasia, secondo il principio guidata statunitense “free and open”. Lo stesso utilizzato come base delle policy nell’Indo Pacifico e sostanziato dallo scontro tra modelli di governance, pensando dunque al ruolo di guida che la Cina autoritaria vuole avere anche su certe tematiche.
Pur non essendo esplicitamente inquadrato come un’alternativa alla Belt & Road Initiative (Bri), Imec ha inequivocabilmente questo scopo. Al punto che in alcuni corridoi americani serpeggia il sospetto che il leader Xi Jinping possa essere stato a conoscenza o informato di questo annuncio e per tale ragione abbia scelto evitare il G20. Per Xi, la Bri è un simbolo nazionale e ancora prima personale: lanciata nel 2013, la cintura di strade e rotte marittime doveva essere il modello dell’abbraccio geopolitico della Cina al mondo. Essere parte di un consesso in cui viene lanciata un’iniziativa simile da potenze rivali (Usa, India, Ue) poteva diventare sconveniente.
A questo si aggiunge il chiaro segnale dell’Italia, decisa a prendere le distanze dalla Bri, di cui è l’unico membro del G7 ad aver aderito. È probabile che il governo Meloni ammorbidisca il colpo rinviando l’annuncio formale a dopo la riunione annuale della Bri, che si terrà a Pechino in ottobre e che farà da anniversario per i dieci anni dal lancio. Ma che Imec venga annunciata durante il G20 indiano, da cui il G7 italiano del prossimo anno prende slancio, soprattutto sulle attenzioni al Global South, e venga sottilmente proposto come alternativa possibile anche pensando a quei Paesi del Global South, è problematico per le strategie cinesi. Si crea il concetto geostrategico di Indo Mediterraneo.
L’India e l’Italia, entrambi forti alleati degli Stati Uniti, sono strategicamente posizionati per diventare teste di ponte e motori dell’Imec, rivitalizzando il commercio e le attività economiche tra Asia ed Europa e sulla base di questo costruire nuove relazioni anche indirizzate al Sud globale (area su cui Roma e New Delhi puntano parte della partnership strategica). Inoltre, la geopolitica ferroviaria, nota anche come “Railway Diplomacy”, acquisisce consistenza anche grazie ai collegamenti ferroviari appoggiati da Arabia Saudita e Israele, e dà un motivo in più al processo di normalizzazione in corso. Contemporaneamente, l’Imec può anche offrire un percorso reale per integrare le nazioni africane ricche di risorse lungo l’Oceano Indiano, tra cui Kenya, Mozambico e Tanzania.
Di più: l’infrastruttura geopolitica si allinea bene con il collegamento del Corridoio di Mezzo (Caucaso e Asia centrale) alle catene di approvvigionamento globali e fornisce ulteriore connettività all’Europa settentrionale, centrale e meridionale. Sempre restando sull’ottica ampia, dall’Imec potrebbe anche passare un rinvigorimento dell’Iniziativa dei Tre Mari (3SI), alla quale la Grecia ha recentemente aderito, promettendo una maggiore connettività globale. Non sarebbe sorprendente vedere anche una maggiore presenza dell’Italia nella 3SI: se l’Italia vi aumentasse il suo peso nella “Trimarium”, potrebbe diventare leader nel potenziamento della connettività eurasiatica, collegando l’Europa Nord-Sud, il Corridoio di Mezzo (Caucaso e Asia Centrale) e il Corridoio Medio Oriente-Indo-Pacifico (Imec).
Da notare che da Washington, da sempre contrappeso di equilibrio europeo e italiano, tale sviluppo è visto come vantaggioso in quanto favorisce la connettività nello spazio post-sovietico, contrasta la Bri e limita l’influenza dell’Iran. È un vantaggio per gli Stati Uniti senza richiedere impegni sostanziali, rendendo il sistema un brand di carattere potenzialmente sfruttabile anche durante la corsa elettorale Usa2024.
Tanto più se si considera che questi collegamenti sarebbero in ridondanza con il Canale di Suez, permettendo un miglioramento della capacità globale e aggiungendo resilienza alle catene di approvvigionamento eurasiatiche — messe in difficoltà da potenziali blocchi del canale stesso, come già successo. Di più: in un’ottica più politica, l’Egitto sarebbe portato ad accettare una minore rilevanze e di conseguenza a dover tenere una linea meno indipendente.
La scommessa americana sull’infrastruttura è probabilmente il principale elemento sul tavolo. Gli Stati Uniti potrebbero essere portati a concentrarsi sulla connettività eurasiatica come componente vitale della loro politica estera e di sicurezza. Una connettività costruttiva all’interno di “spazi liberi e aperti” offre opportunità di sicurezza, cooperazione economica e geopolitica. Per Washington e per tutti coloro che vi prendono parte sarebbe un vero successo win-win.
Dal punto di vista europeo invece, l’Imec si allinea alle priorità dell’Ue per l’Indo-Pacifico, spiega in un’analisi Tiziano Marino, head del desk Asia-Pacifico del CeSI. Può integrare l’iniziativa Global Gateway e facilitare il “de-risking” delle relazioni commerciali con la Cina; inoltre la cooperazione con l’India e gli Stati Uniti attraverso il Golfo offre l’opportunità di creare catene di approvvigionamento resilienti e di collegare Stati con capacità produttive e tecnologie avanzate energie alternative.