I dati sulla percentuale di arricchimento sono soltanto una parte delle discussioni e delle problematiche aperte con la repubblica teocratica iraniana. Teheran taglia le produzioni di materiale nucleare, ma continua con le pratiche aggressive
Secondo un rapporto confidenziale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), l’Iran ha rallentato il ritmo con cui sta arricchendo l’uranio fino a livelli quasi bellici. Questo potrebbe essere un segno che Teheran sta cercando di allentare le tensioni dopo anni di scontro con gli Stati Uniti. La notizia è molto importante perché questo allentamento si lega anche alla possibilità di strutturare un mini-accordo con Washington (o “accordo per la riduzione delle tensioni”, come lo definiscono ambienti diplomatici europei che hanno analizzato il contesto in modo informale con Formiche.net). È il secondo segnale del genere dopo una trattativa per la liberazione (agli arresti domiciliari) di alcuni cittadini statunitensi da parte delle autorità della Repubblica islamica. Quanto esce sui media internazionali adesso conferma voci che stavano già circolando da qualche mese.
Narrazioni e interessi
Sebbene per il suo programma nucleare civile non ci sarebbero necessità di un arricchimento fino ad alti livelli, l’Iran punta a raggiungere una percentuale di purezza elevata per poter esercitare una forma di deterrenza. Sopra una certa soglia può infatti raggiungere più velocemente il livello di carattere militare e quindi rappresentarsi come una potenziale realtà atomica. Sotto quest’ottica l’arricchimento è dunque strategico. Ma ha anche un valore tattico: le percentuali raggiunte sono una violazione del Jcpoa, l’accordo per il congelamento del programma nucleare iraniano che fu firmato nel 2015 e poi messo in crisi nera nel 2018 — quando l’amministrazione Trump decise di uscire dall’intesa in forma unilaterale.
Della possibilità di ricomporre il Jcpoa si parla da tempo, ma nei fatti non ci sono state evoluzioni, nonostante i buoni propositi dell’amministrazione Biden. Arricchire materiale nucleare — insieme alla resilienza contro le sanzioni americane — ha permesso all’Iran di crearsi uno standing davanti agli Stati Uniti e poter avviare i più recenti negoziati per una nuova intesa informale. Ora Teheran cerca di dimostrarsi in qualche modo collaborativa perché sa che può rivendere eventuali risultati del dialogo con Washington, anche se ridotti, come successi sul piano interno. Contesto che è sempre sensibile — alterato da sempre più nette proteste e ostilità al regime e da una condizione socio-economica generale sempre più delicato, ma anche da contrasti tra gli oltranzisti e conservatori più pragmatici.
Riduzioni e produzioni
D’altra parte, se è vero che sembra ridursi la quantità (comunque limitata) dell’uranio arricchito al 60%, altre rivelazioni hanno già indicato che le scorte per il range di purezza che va dal 5 al 20% sono sensibilmente aumentate in Iran. E va ricordato che il processo di arricchimento non è graduale: dal 20 al 60 il passo è molto più rapido che dal 5 al 20. Washington vorrebbe la diminuzione generale delle scorte, ma per ora l’Iran si muove con accortezza. È vero che per il secondo trimestre consecutivo anche l’attività delle nuove centrifughe è stata limitata, ma Teheran ha continuato a negare i agli ispettori Iaea (che tra l’altro nel Paese hanno subito vari abusi, soprattutto la componente femminile). Inoltre gli iraniani non sono troppo collaborativi sulle indagini che riguardano il materiale non dichiarato e in generale stanno procedendo lentamente riguardo a un accordo di maggiore cooperazione su cui si erano impegnati a marzo.
La questione è molto importante soprattutto alla luce delle evoluzioni rapide che potrebbe avere un dossier complesso come quello dell’accordo tra Arabia Saudita, Israele e Stati Uniti. L’intesa minilaterale ha anche la deterrenza all’Iran tra gli obiettivi. Se Teheran si mostra in qualche modo collaborativa — in modi differenti con Washington e con Riad — allora si potrà evitare che la sicurezza sia il comune denominatore del patto in costruzione tra i tre. Se l’Iran dovesse invece spingere l’acceleratore delle tensioni, allora il rischio è una moltiplicazione delle stesse — perché sauditi e israeliani considerano la Repubblica islamica un nemico esistenziale.
Sanzioni e incarcerazioni
Contemporaneamente sulla riduzione dell’arricchimento pesa anche la questione del setback sanzionatorio europeo legato ai missili balistici iraniani, in scadenza a ottobre. Secondo il Jcpoa, a ottobre 2023 scadranno le sanzioni Ue sui missili balistici — che l’Iran ha sviluppato in violazione di una risoluzione Onu. L’Europa avrebbe dovuto eliminarle, ma le informazioni dicono che così non sarà. Verranno mantenute perché l’Iran ha venduto droni alla Russia che vengono impiegati contro l’Ucraina; perché ci sarebbe la possibilità che l’Iran poi venda anche missili balistici a Mosca; perché Bruxelles vuole privare l’Iran dei vantaggi dell’accordo nucleare a causa della sua violazione (gli arricchimenti), sebbene sia avvenuta solo dopo che gli Stati Uniti l’hanno fatto inizialmente (con l’uscita unilaterale).
L’Ue sarebbe quasi completamente convinta dai tre fattori sollevati da Germania, Francia e Gran Bretagna, che sono i tre Paesi europei che firmarono nel 2015 il Jcpoa. A rafforzare questo convincimento c’è anche la vicenda di Johan Floderus. Dall’aprile del 2022 l’Iran terrebbe nel carcere Evin di Teheran, dove di solito vengono tenuti gli oppositori politici al regime, un diplomatico svedese di 33 anni che lavora per l’Unione Europea. La notizia è emersa lunedì (non senza imbarazzo), un anno e mezzo dopo il suo arresto, grazie a un articolo del New York Times. L’uomo ha 33 anni e lavora per le istituzioni europee almeno dal 2019. Secondo il NYTimes è stato arrestato con accuse di spionaggio, ritenute false dalle persone che conoscono Floderus e il suo lavoro. Per il Wall Street Journal sarebbero almeno 30 i cittadini europei incarcerati dall’Iran. I dati sulla percentuale di arricchimento sono soltanto una parte delle discussioni e delle problematiche aperte con la repubblica teocratica iraniana.