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La soprano cinese canta Katyusha tra le rovine insanguinate di Mariupol. Neutralità?

Giornalisti, blogger, personaggi pubblici cinesi in visita guidata nelle aree ucraine occupate dall’invasione russa. Una soprano intona una canzone nazionalistica in mezzo alle macerie del teatro di Mariupol. È questa l’equidistanza di Pechino?

La soprano cinese Wang Fang intona “Katyusha” tra le rovine del teatro di Mariupol, dove centinaia di ucraini innocenti sono morti in un attacco missilistico russo. Il ministero degli Esteri ucraino lo definisce un esempio di “degradazione morale”.

“L’Ucraina si aspetta dalla parte cinese spiegazioni sullo scopo del soggiorno dei cittadini cinesi a Mariupol e sul modo in cui sono arrivati ​​nella città ucraina temporaneamente occupata”, scrive Kyiv in un comunicato di protesta ufficiale.

I media delle forze di occupazione russe, che si definiscono Repubblica popolare di Dontesk (Dpr, creata con i referendum farsa del 2014), spiegano che con Wang sono arrivati diversi giornalisti e blogger e personaggi famosi dalla Cina. “Molto toccante”, ha commentato Denis Pushilin, che della Dpr è il leader.

Katyusha è una canzone popolare russa molto famosa nel mondo e usata come simbolo di patriottismo e orgoglio nazionale. Difficile immaginare che Wang Fang non fosse consapevole che la sua esibizione non potesse essere vista come un chiaro messaggio di sostegno alla Dpr e ai suoi sostenitori.

Val la pena ricordare che varie immagini avevano mostrato che la parola russa per “bambini” era stata marcata sul terreno a grandi lettere in due punti fuori dal teatro di Mariupol almeno due giorni prima che venisse colpito. Amnesty International ha dichiarato che l’edificio “non era un obiettivo militare valido” e “non esisteva alcun obiettivo militare legittimo”.

Viene da chiedersi se è questa la neutralità e l’equidistanza di cui Pechino si fregia quando tratta l’invasione Russia in Ucraina – che non chiama “guerra”, ma “crisi” per non urtare sensibilità e narrazioni del Paese vassallo, che non può essere lasciato colare a picco (almeno per ora).

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