Le ultime manovre militari di Pechino non hanno avuto il solito risalto mediatico, e questo non è un bene. Per gli analisti taiwanes vuol dire che non sono messaggi politici, ma vere e proprie simulazioni di invasione
Nelle ultime settimane, le varie manovre militari aeronavali messe in atto dalle forze armate cinesi nei pressi dell’isola di Taiwan erano state oggetto di una forte propaganda (con tono intimidatorio nei confronti di Taipei) da parte dell’apparato mediatico di Pechino. Eppure, sembra che qualcosa sia cambiato.
Negli scorsi giorni, le forze armate taiwanesi hanno registrato diverse incursioni di velivoli cinesi nello spazio aereo dell’isola, anche più numerose del solito. Così come più numerose del solito erano le 24 navi che, assieme ad una portaerei, hanno manovrato intorno all’isola all’inizio del mese di settembre. Eppure, nessuna di queste manovre è stata rilanciata dal massiccio sistema mediatico della Repubblica Popolare.
Gli analisti taiwanesi hanno trovato un’unica spiegazione al riguardo: queste manovre non sono atte a trasmettere messaggi di sorta, ma sono vere e proprie esercitazioni, tramite le quali la People Liberation Army cerca di affinare le proprie capacità di mettere in pratica la prevista invasione dell’isola. Un’ulteriore riprova di questa ipotesi è individuabile nel fatto che a queste operazioni abbiano preso parte anche i velivoli da trasporto Y-20, inutili se si vuole apparire aggressivi e pericolosi, ma fondamentali per riuscire ad estendere la distanza operativa oltre i limiti standard.
Le operazioni in profondità sono una componente fondamentale all’interno della capacità cinese d’interdire alle forze armate straniere (leggasi americane) le acque del Mar Cinese Meridionale. Impedire, o quantomeno rallentare, l’accesso di truppe nemiche all’isola di Taiwan e al tratto di mare che la circonda permetterebbe a Pechino di perfezionare l’occupazione dell’isola, mettendo gli “alleati” di Taiwan di fronte a un fatto compiuto, che scoraggerebbe ogni ulteriore intervento: una riconquista dell’isola sarebbe di fatto irrealizzabile. Ed è proprio a questo fine che la Repubblica Popolare ha istituito una cosiddetta bolla “Anti-Access/Area Denial”.
“Stanno migliorando, e credo che questa esercitazione sia una prova del fatto che ci stanno provando” è il commento di Ben Lewis, un analista militare indipendente con sede a Washington, che segue le attività quotidiane delle forze armate cinesi da quasi due anni. Mentre il Maggiore Generale Sun Li-Fang, portavoce del ministero della Difesa Nazionale di Taiwan, afferma che “sicuramente studieremo le probabili linee d’azione della Pla e pianificheremo misure di risposta adeguate. Più gli aerei del Pla sono vicini a Taiwan, più forti saranno le nostre contromisure”.
Manovre simili erano già state messe in atto nel mese di agosto, con la flotta cinese che simulava quello che è stata interpretato dagli analisti come un tentativo di blocco navale dell’isola bersaglio, mentre i droni di Pechino si cimentavano in circumnavigazioni dell’isola.
Fino ad ora, Taiwan aveva sempre considerato il lato orientale come più sicuro, in quanto meno esposto geograficamente alle basi militari cinesi: ed è proprio in questa zona che si pianificava di organizzare il grosso della difesa, complice la catena montuosa che attraversa l’isola e che rende gli spostamenti da una parte all’altra molto più difficoltosi. Inoltre, i caccia cinesi non dispongono dell’autonomia necessaria ad operare in quel settore, se decollano dalle basi sulla terraferma. Ma l’allargato raggio operativo della Pla rende molto più difficile la realizzazione di un simile progetto.