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La politica estera di Ankara passa anche dai droni

Negli ultimi anni la drone diplomacy di Ankara ha riportato numerosi successi. Oltre ad un export sostanziale, che potrebbe avere numerosi vantaggi in futuro, la fornitura di droni ha permesso alla Turchia di supportare gli attori a lei più vicini geopoliticamente, così da rafforzare la sua posizione sul piano internazionale

Durante gli ultimi anni l’importanza degli Uncrewed Aerial Systems (Uas) è continuata a crescere in modo costante. Il loro massiccio impiego nei campi di battaglia di tutto il mondo, siano essi ad alta o a bassa intensità, dimostra come essi siano oramai degli asset fondamentali all’interno della guerra del ventunesimo secolo. In una simile situazione, è indubbio che le potenze capaci di produrre endogenamente simili apparecchi godranno di un vantaggio relativo tutt’altro che insignificante. Anche perché, ad oggi, gli Stati che dispongono di un’“industria dei droni” sufficientemente sviluppata non sono tantissimi. Tra questi rientra la Turchia, uno dei Paesi pionieri dei droni, la quale ha messo a frutto questa sua capacità producendo modelli di droni particolarmente adatti alle esportazioni. Con risultati fenomenali non solo sul piano economico, ma anche su quello geopolitico.

La notizia dell’ultimo successo è di pochi giorni fa. La compagnia taiwanese Geosat Aereospace and Technology ha annunciato di aver firmato con l’inglese Flyby Technology un contratto per l’acquisto, il trasferimento della tecnologia e la produzione di circa 160 droni Jackal. Droni sviluppati però dalla turca Fly Bvlos Technology, che nel luglio 2023 ha ceduto i diritti di proprietà intellettuale alla compagnia inglese “mantenendo tuttavia all’interno dell’accordo alcune riserve sull’esportazione dei Jackal”, come ha specificato Murat Islioglu, direttore della Fly Bvlos Technology. Con molta probabilità, il leader dell’azienda si stava riferendo a un possibile diritto di ‘veto’ sull’esportazione dei droni ad attori non graditi ad Ankara.

Categoria in cui Taiwan non rientra affatto. Anzi, Islioglu celebra il fatto che i droni Jackal siano stati scelti come componente della flotta di Uas che l’isola ha deciso di sviluppare al fine di incrementare le proprie capacità difensive nell’eventualità del verificarsi di un’invasione su larga scala da parte della Repubblica Popolare Cinese. Sulla base delle lezioni apprese dai più recenti scontri in tutto il globo.

Dall’Ucraina al Nagorno-Karabakh, passando per la Libia, il ruolo dei droni come game-changer ha continuato a radicarsi sempre più. E in ognuno di questi teatri, ad essere protagonisti erano (e in parte sono ancora) perlopiù droni di manifattura turca. A simboleggiare questa presenza è in particolare uno dei vari apparecchi prodotti in Turchia: il Tb-2 Bayraktar, prodotto dalla Baykar Technologies.

Il conflitto interno alla Libia nel periodo post-Gheddafi è stata la prima occasione in cui queste macchine si sono fatte notare. Il loro impiego da parte delle forze del Congresso generale nazionale (apertamente appoggiato dalla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan) è stato infatti decisivo nel respingere l’offensiva delle truppe del generale Khalifa Haftar contro la capitale Tripoli. Tutelando così la propria posizione in Libia, a scapito di quella di Mosca che invece si era schierata a supporto della parte avversaria.

Ma se la Libia è stata il battesimo del fuoco del Bayraktar, il suo punto di massimo splendore è stato il conflitto il Nagorno-Karabakh del 2020. Baku, stretto alleato di Ankara, si era adoperata per acquisire questi Uas nei mesi precedenti all’avvio delle operazioni militari, mossa che si è rivelata particolarmente efficace: il loro impiego in sinergia con altri asset bellici ha permesso all’esercito azero di mettere in atto una vera e propria guerra di manovra, inficiando fin da subito le capacità di resistenza degli avversari armeni.

Pochi mesi prima, nel 2019, anche Kyiv aveva ordinato per le proprie forze armate alcuni esemplari di questo Uas. La sua intenzione era di impiegarli nel conflitto a bassa intensità allora in corso contro i separatisti del Donbass, sostenuti da Mosca ma senza un diretto intervento delle sue forze armate. Cosa che effettivamente è successa, tra l’altro con ottimi risultati, per alcuni mesi. Poi è arrivato il febbraio 2022, e l’invasione su larga scala delle truppe russe. E anche in questa situazione, il Bayraktar ha dato modo di dimostrare il suo valore, contribuendo all’eliminazione di numerosi bersagli di alto valore durante l’avvicinamento delle colonne corazzate sulal capitale Kyiv. La sua fama è cresciuta così tanto da diventare il soggetto di un canto di guerra molto diffuso nei primi mesi del conflitto tra i difensori ucraini. Anche se nei successivi mesi del conflitto l’evolversi delle dinamiche belliche ne ha ridotto molto l’iniziale efficacia, portando anche al quasi totale abbattimento degli esemplari di cui Kyiv disponeva, il loro successo internazionale non è assolutamente calato.

Il numero di ordini ricevuti dalla Baykar all’indomani dello scoppio della guerra in ucraina è cresciuto a livello esponenziale. Ad oggi, almeno 23 paesi dispongono di droni Bayraktar, o sono in attesa di ricevere prodotti già acquistati. Dietro al loro successo non vi è solo l’efficacia usl campo di battaglia, ma anche la convenienza economica: il costo medio di un Bayraktar nel 2021 era di soli 5 milioni di dollari, la metà rispetto al corrispettivo americano MQ-10 Reaper; con l’inflazione galoppante in registrata in Turchia, oggi il suo costo relativo è ancora inferiore.

Per la gioia di Ankara, che può mettere in atto una vera e propria diplomazia dei droni, incentrata sul fornire sostegno soltanto a stati amici ed alleati, magari garantendo loro un netto vantaggio militare in contesti particolarmente fragili, e strutturando così un network di interessi legati a questo mercato. Un network che nei prossimi anni, alla luce del trend di interesse crescente per gli Uas, potrebbe rivelarsi ancora più lucrativo dell’incasso stesso proveniente dalle vendite registrate sino ad ora.


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