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La gelata sul Pil era prevista. E non è per forza una cattiva notizia. Micossi spiega perché

Intervista all’economista e saggista, per oltre vent’anni alla guida di Assonime. Il ridimensionamento della crescita imporrà all’Italia una finanziaria basica ed essenziale, il che avrà i suoi vantaggi a cominciare dalla benevolenza dei mercati e della Commissione europea. Il che, in ottica di sblocco delle rate del Pnrr, non è poco. La Bce si prenderà una pausa, ma non è finita

I segnali di una frenata della crescita c’erano tutti. Ma gli alibi finiscono qui. Da ora in avanti non bisognerà più sbagliare un colpo. Perché sì, il Vecchio continente ha il fiato corto, la locomotiva tedesca ha finito il carbone, non certo da ieri, e l’Italia di Giorgia Meloni ha perso un po’ di slancio in termini di Pil.

Il che chiama direttamente in causa concetti quali prudenza e cautela, tanto cari al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ed è proprio questo il punto: non è per forza di cose una cattiva notizia, se vista dalla giusta angolatura, spiega a Formiche.net l’economista e saggista Stefano Micossi, che per oltre 20 anni ha guidato Assonime, l’associazione delle spa italiane.

La Commissione europea ha ridotto le stime di crescita sia per il Continente, sia per l’Italia. Dica la verità, c’era da aspettarselo?

C’erano dei segnali da diverso tempo, non possiamo negarcelo, ma le variazioni non sono così marcate. C’è un rallentamento in atto, ma non stiamo precipitando, questo va detto.

Se guardiamo alla Germania, non possiamo stare troppo tranquilli. Tutti sappiamo quanto l’economia tedesca pesi ancora in Europa. La locomotiva si è fermata, però.

La Germania ha un problema molto serio, che riguarda il suo modello di sviluppo, basato sull’importazione di energia ma anche sulle esportazioni verso la Cina. Un equilibrio che è andato in crisi, una simile caduta del Pil (-0,4% nel 2023, ndr) i tedeschi non lo vedevano si vedeva dagli anni 70 e questo per loro è uno shock. A conti fatti, è una grande macchina che si è fermata.

A questo punto Micossi, la Banca centrale europea ha un motivo in più per azionare il freno di emergenza sui tassi. Giovedì c’è un nuovo board. Le sue sensazioni?

Guardi, la Bce ha già deciso di non fare aumenti a settembre. Dunque non dobbiamo aspettarci nulla dal consiglio di giovedì. Il problema è quello che succede dopo, perché se l’inflazione non cala, allora un nuovo rialzo dei tassi è da mettere nel conto entro fine anno, questo lo possiamo dire con una buona dose di certezza.

Altro capitolo, la manovra. Il governo italiano pare avere le armi spuntate: poche risorse e meno crescita. Meglio allora fare poche misure ma coperte da un punto di vista finanziario, che scrivere un libro dei sogni. O no?

A me sembra che il governo abbia dato chiari segnali di massima prudenza, sia Meloni, sia Giorgetti. Al momento ci sono pochi soldi, anche perché c’è la tegola del Superbonus. Parliamo di numeri piccoli, gli annunci che fanno i ministri su questa o quella misura, si scontreranno con l’aggiornamento del Def, a fine mese. Per questo la prudenza è, anche quest’anno, l’humus della manovra stessa.

La prudenza, a voler guardare il bicchiere mezzo pieno, è una cosa buona per un Paese indebitato come il nostro, perché si traduce nella benevolenza dei mercati…

Sì, ma c’è di più.

La ascolto.

Vuol dire anche benevolenza e comprensione della Commissione Ue, che ha già sbloccato la terza rata del Pnrr e aperto le porte alla quarta. Non c’è dubbio che un’Italia prudente abbia i suoi vantaggi, a cominciare dalla comprensione dell’Europa. Che, va detto, finora c’è stata.

A sentire la parola Superbonus pare che a Giorgetti venga il mal di pancia. E, visti i numeri, c’è da crederci. Era un disastro annunciato?

Quello che sorprende è che i numeri stiano vedendo fuori solo ora. Anche Mario Draghi se ne accorse e lo disse che bisognava darci un taglio, ma le cifre che stiamo leggendo in questi giorni sono spaventose. Un po’ come se lo Stato avesse aperto un gigantesco bancomat.

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