Il premier e l’Italia sono stretti tra le logiche burocratiche di un’Europa impolitica e i calcoli elettorali degli alleati di governo così come dei partner comunitari. Il corsivo di Andrea Cangini
In materia di migranti (e non solo), Giorgia Meloni ha due problemi: Matteo Salvini che le fa il controcanto e le Istituzioni europee che non la sostengono come dovrebbero. A mettere in evidenza il secondo problema sono stati i giornalisti Alessandro Barbera e Marco Bresolin sulla Stampa. A quanto pare, il memorandum con la Tunisia siglato in luglio da Ursula von der Leyen non ha avuto ancora attuazione perché è stato sottoscritto senza l’autorizzazione preventiva del Consiglio europeo, ovvero dell’istituzione di cui fanno parte i capi di Stato e di governo dei paesi membri. Quell’accordo sarebbe illegittimo anche a giudizio dell’Alto rappresentante per la politica estera europea, lo spagnolo Josep Borrell. Risultato: il presidente tunisino Kais Saied non ha potuto ancora incassare i 255 milioni che la Ue si era impegnata a dargli per puntellare le finanze pubbliche e frenare le partenze. Si immagina, dunque, che il massiccio arrivo di immigrati dalla Tunisia a Lampedusa sia opera dello stesso Saied, il quale spera così di ottenere al più presto quel che gli è stato promesso quasi due mesi fa.
Quanto a Salvini, il suo gioco è piuttosto chiaro. In vista delle elezioni europee di giugno, il segretario della Lega vuole strappare a Giorgia Meloni la palma di leader “coerente” di destra. Per questo intende candidare il generale Vannacci. Per questo ha esibito sul palco di Pontida la leader della destra nazionalista ed antieuropeista francese, Marine Le Pen, con cui Giorgia Meloni ha saggiamente sospeso i rapporti pubblici sin dalla scorsa campagna elettorale. “Noi non abbiamo cambiato idea circa la nostra amicizia”, ha detto ieri Salvini riferendosi alla Le Pen.
Ne consegue l’immagine di un’Italia ambigua. Ma soprattutto ne consegue la reazione di alcuni partner europei. Le elezioni europee, infatti, riguardano tutti. Anche la Francia di Macron, che certo non ha apprezzato la liaison del vicepremier italiano con la sua peggiore avversaria interna. Non l’ha apprezzata così come c’è da credere che il premier spagnolo Sanchez non abbia apprezzato il sostegno dato da Giorgia Meloni al leader di Vox in occasione delle scorse elezioni spagnole.
È questa, dunque, la morsa in cui è finita la Meloni e con lei l’Italia: strette tra le logiche burocratiche di un’Europa impolitica e i calcoli elettorali degli alleati di governo così come dei partner comunitari.