Non si tratta solo di linea politica. Le facce, le provenienze, il linguaggio, le priorità, la logica politica, lo stile personale dei nuovi dirigenti del Pd sono la copia conforme di quelle del M5S. La mutazione genetica è in atto, la crisi di rigetto è (forse) in agguato. Il corsivo di Andrea Cangini
Non si tratta solo di linea politica. Le facce, le provenienze, il linguaggio, le priorità, la logica politica, lo stile personale… Nel Pd è in atto una mutazione genetica. Si disse anche quando Matteo Renzi conquistò la segreteria, ma tra il 2013 e il 2017 il Partito democratico rimase un partito e la nuova genetica esibiva cromosomi politici peculiari: quelli del renzismo. Stavolta è diverso. La nuova genetica del non più partito ma movimento democratico è il grillismo. Il più vecchio e strutturato partito oggi rappresentato in Parlamento assume così il dna del più recente: il Movimento 5stelle.
Sabato scorso, su La7, la percezione ha trovato conferma. Ero in studio ospite di Andrea Pancani per una puntata di Coffee Break. In collegamento, un deputato che, colpevolmente, non conoscevo: Toni Ricciardi. Quando il conduttore lo ha presentato ai telespettatori ho appreso che in Parlamento Ricciardi svolge le funzioni di vice capogruppo, ma non ho capito di quale gruppo si trattasse. Ascoltandolo parlare non ho avuto dubbi: questo Ricciardi è senz’altro un grillino.
La vacuità dei discorsi, lo scandalo menato per “il lessico” violento del governo, la difesa del reddito di cittadinanza e l’insistenza con cui precisava di non essere un uomo politico, ma “uno storico provvisoriamente prestato alla politica” sembravano aver colmato senza ombra di dubbio la mia ignoranza. Errore. Lo stesso errore in cui è incappato anche il viceministro alla Giustizia Paolo Sisto. Il quale, intervenendo dopo Ricciardi, lo ha qualificato “un Cinquestelle un po’ nostalgico”. Sia io sia Sisto eravamo in buona fede, ma giudicavamo sulla base di schemi ormai, evidentemente, superati. Toni Ricciardi è, infatti, vicecapo del gruppo del Pd alla Camera.
Ma del Pd resta solo il nome, dal momento che le attuali prime file non hanno nulla a che vedere con la scuola politica del Partito democratico. Molti di loro, come del resto la segretaria, si sono iscritti di recente. Molti di loro, come del resto la segretaria, vengono da movimenti di sinistra. Molti di loro, come del resto la segretaria, eletta tale non dagli iscritti ma dai cittadini comuni, disprezzano la storia del Pd e non apprezzano la forma partito. Se ne lavano le mani. “Io non c’ero”, ha detto sabato Ricciardi quando in studio gli veniva contestato di teorizzare cose mai fatte dal Partito democratico nei tanti anni trascorsi al governo del Paese.
I nuovi quadri dirigenti del Pd di scuola schleiana sono evidentemente accomunati da una retorica movimentista, pacifista, sottilmente antipolitica e sostanzialmente anticapitalista. La stessa, identica retorica che caratterizza quel che resta del Movimento fondato da Beppe Grillo e usucapito da Giuseppe Conte. Non si tratta solo di linea politica. Le facce, le provenienze, il linguaggio, le priorità, la logica politica, lo stile personale dei nuovi dirigenti del Pd sono la copia conforme di quelle del M5s. La mutazione genetica è in atto, la crisi di rigetto è (forse) in agguato.