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Sindacati tra vecchia cultura e nuovi paradigmi del lavoro. Scrive Bonanni

L’Ocse avverte che la rappresentatività del sindacato nell’ultimo ventennio è in progressiva diminuzione. Ognuno avrà la propria storia, legislazione e condizioni generali favorevoli o sfavorevoli, ma sono due le questioni dominanti. Ecco quali secondo Raffaele Bonanni

L’Ocse, diffondendo i dati dell’andamento delle iscrizioni ai sindacati dei Paesi più industrializzati sottolinea la loro perdita di aderenti. Perdono sensibilmente nei Paesi anglosassoni del Nord America del Regno Unito riducendosi a meno del 15% del lavoro dipendente; non superano il 10% nei Paesi controllati dall’Urss prima della caduta del muro di Berlino; reggono bene con poche perdite i Paesi scandinavi; scivolamenti consistenti negli altri Paesi europei a partire dalla Spagna, Francia ed Germania, con i sindacati italiani che pur regredendo con il 35% di sindacalizzazione sono ancora attestati mediamente al doppio quando al triplo di adesioni rispetto a quest’ultimi.

Insomma l’Ocse avverte che la rappresentatività del sindacato nell’ultimo ventennio è in progressiva diminuzione. Ognuno avrà la propria storia, legislazione e condizioni generali favorevoli o sfavorevoli, ma sicuramente il dato che condiziona l’arretramento generale si può riassumere in due questioni dominanti: il condizionamento culturale del grande peso dei successi del passato che però ritardano il futuro; la incomprensione grave della modernità. Ed infatti l’epopea sindacale del dopoguerra nei Paesi occidentali, favorita dalla integrazione dei mercati con il conseguente sviluppo della industrializzazione, ha determinato un consistente espandersi della influenza delle organizzazioni del lavoro oltre il recinto della contrattazione nelle aziende e nei relativi paesi.

In forza di questo consenso hanno influito allo sviluppo del welfare e talvolta persino sulle politiche economiche dei governi. Ma la spinta originaria, come accade nelle migliori esperienze, successivamente ritarda la necessità di coltivare obiettivi nuovi che il nuovo tempo inesorabilmente pretende. Così si sviluppano corporativismi e conservatorismi come tentativo impossibile di fermare il tempo e con esso i successi delle generazioni passate. Ed in questo clima che cresce il degrado del sindacalismo.

Il permanere della vecchia cultura nata nei grandi opifici, e l’incapacità di rappresentare il lavoro moderno fluido ed in continua trasformazione. Il nuovo che prorompe nella modernità, vede lavoratori neo artigiani con le loro avanzate competenze digitali coinvolti in un personale rapporto con il proprio carico di lavoro a concorrere a comporre il mosaico delle produzioni. Ad esempio, la necessità di formazione continua, la organizzazione della propria vita lavorativa in una dimensione produttiva sempre più spostata in un ambito dove spazio e tempo rendono necessario calcolare con criteri diversi la misura della retribuzione. Non più per ore lavorate ma per carico affidato e concordato, e perciò una rivoluzione contrattuale ed organizzativa le cui intenzioni sono ancora difficili da rintracciare negli attuali dibattiti delle organizzazioni del lavoro.

Ecco perché i sindacati sono stretti da ambo i lati: da una morsa costituita da una cultura vecchia che fa ancora proseliti, e da una nuova che spera in una nuova contrattualità che spinga su riconoscimento del merito, e su nuovi paradigmi del lavoro per il terzo millennio.



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