Per portare avanti le misure sull’abbassamento del cuneo fiscale servono dieci miliardi. Per la revisione del Patto di stabilità occorre costruire alleanze con Francia e Spagna. Renzi alle Europee? L’obiettivo di creare un’offerta politica strutturata e stabile, alternativa sia al conservatorismo-populismo di sinistra che a quello di destra. Conversazione con il deputato di Italia Viva, Luigi Marattin
Manca sempre meno alla sessione di bilancio. La costruzione della Manovra, per il Governo, è in salita. Nel frattempo, sul piano europeo, si gioca la partita della revisione del Patto di Stabilità e la prospettiva – anch’essa sempre più prossima – delle elezioni Europee. “L’Italia, con una maggioranza politica solida sostenuta ancora dal consenso popolare e con un orizzonte di quattro anni potrebbe assumere una leadership continentale, per orientare i prossimi decisivi passi del processo di integrazione europea, invece assistiamo ogni giorno a ministri che criticano l’Europa e la Bce, o litigano con altri governi, sulla base del peggior repertorio populista”. A dirlo a Formiche.net è Luigi Marattin, economista e parlamentare di punta di Italia Viva.
Sulla revisione del Patto di stabilità si sta consumando un attacco verso il commissario Gentiloni, anche da parte della premier che fino a oggi era stata fuori dal battage. Cosa sta succedendo?
Succedono due cose, una contingente e l’altra più strutturale. Quella contingente è molto semplice: mancano poche settimane all’inizio della sessione di bilancio, cioè al momento in cui il governo dovrà nuovamente rimangiarsi tutte le promesse su cui aveva costruito il suo consenso: dalla flat tax a quota 41, passando per l’innalzamento delle pensioni minime e le decine di miliardi in deficit. Quindi cominciano ad essere nervosi e, come sempre fanno i populisti, cercano un nemico estero a cui dare la colpa. Meglio se di passaporto italiano, così ci ficcano dentro anche una bella accusa di “tradimento della Patria”.
E quello strutturale?
Il fenomeno strutturale è ancora più preoccupante: al di là della cosmesi, del vestito buono che si indossa ogni tanto, o delle scelte obbligate per essere accettati “in società” (come su Ucraina, politica estera, energia), il vero volto populista di questa maggioranza alla lunga viene fuori. E sull’Europa i populisti – di destra e di sinistra – hanno sempre avuto un’idea chiara: per loro è solo un gigantesco bancomat che deve versarci risorse aggiuntive senza alcuna condizione o consentirci di fare tutto il deficit che vogliamo. In questa ottica, si capisce anche l’incredibile sgrammaticatura di premier e vice-premier, che sembrano pensare che il ruolo del membro della Commissione di nazionalità italiana sia il sindacalista di questo tipo di approccio.
Nel merito, al di là delle proposte della Commissione, verso quale tipo di soluzione dovrebbe orientarsi l’azione del governo sulla riforma del patto di stabilità?
La proposta della Commissione è un’ottima base, perché elimina nei fatti la struttura del Fiscal Compact (incentrata sul deficit aggiustato per il ciclo, una misura non osservabile e pertanto fonte di poca trasparenza e potenziali enormi distorsioni) e adotta un approccio country-specific, basato su un obiettivo (la riduzione del debito) e uno strumento (la spesa primaria al netto dei co-finanziamenti), il tutto su orizzonte pluriennale. Il governo dovrebbe innanzitutto lasciar perdere l’assurda pretesa di scorporare alcune tipologie di spese dal computo del deficit: sarebbe come dire che i chilogrammi che ho messo su mangiando i dolci non contano nel quaderno dove ogni mese annoto il mio peso. Ma il peso che conta è quello che mi dice la bilancia, non quello che scelgo di annotarmi per sentirmi meglio. Fuor di metafora, il deficit che conta per contribuire a definire il merito di credito di un Paese è quello che fattualmente definisce l’ammontare annuo del ricorso al mercato (cioè la misura in cui devo espormi finanziariamente con i mercati dei capitali), non quello che scelgo di considerare io. Come se non bastasse, sono bastate poche settimane di queste voci per scatenare una spassosa corsa dei ministri a chiedere di esentare la propria categoria di spesa: digitale, transizione verde, spese militari, istruzione. Sarei curioso di sapere cosa rimarrebbe, alla fine. In secondo luogo, sarebbe saggio limare le tendenze “nordiche” a irrigidire ulteriormente il quadro, con annessi pericoli di politiche pro-ciciliche.
La prospettiva auspicabile sarebbe quella di costruire delle alleanze in Europa su questo versante. C’è margine per farle con altri Paesi?
In teoria si, soprattutto con Francia e Spagna. Per questo sarebbe interesse nazionale coltivare buoni rapporti con entrambi. Invece la premier ha dapprima ripetutamente litigato con Macron, e poi ha pensato bene di entrare a gamba tesa nelle elezioni spagnoli, facendo campagna elettorale per un partito di estrema destra, risultato per fortuna perdente alle elezioni del luglio scorso.
Che tipo di partita si gioca l’Italia in questa fase in termini di rapporti con l’Europa?
Ci sarebbe spazio per un protagonismo politico senza precedenti. La Gran Bretagna è ormai fuori da qualche anno, la Germania arranca sia come economia che come leadership politica; la Spagna si avvia verso un governo probabilmente molto fragile; il Mediterraneo sta tornando centrale perlomeno per gli equilibri di questa parte del mondo. L’Italia, con una maggioranza politica solida sostenuta ancora dal consenso popolare e con un orizzonte di quattro anni potrebbe assumere una leadership continentale, per orientare i prossimi decisivi passi del processo di integrazione europea. Invece assistiamo ogni giorno a ministri che criticano l’Europa e la Bce, o litigano con altri governi, sulla base del peggior repertorio populista.
Veniamo alla Manovra. Tra esiguità delle risorse e “prudenza”, ce la farà il Governo a mantenere le promesse in particolare su cuneo fiscale, pensioni e lavoro?
Spero riesca quantomeno a evitare che il cuneo fiscale aumenti: solo per fare questo servono 10 miliardi. Ma è stato lo stesso governo a mettersi in questa assurda situazione: quando il 1° maggio vollero fare la mossa di ridurre il cuneo per soli 6 mesi, fummo i primi ad avvertire che le tasse si riducono strutturalmente, e non temporaneamente. Per due buoni motivi: il primo è per evitare, in legge di bilancio, di dover poi trovare un sacco di soldi semplicemente per non farle aumentare; e il secondo è che le famiglie, che già si fidano poco della politica, difficilmente reagiscono aumentando i consumi a fronte di diminuzioni temporanee delle tasse. Per quanto riguarda il lavoro, spero – come hanno parzialmente fatto in delega fiscale – accolgano la nostra richiesta di detassare i premi di produttività e la contrattazione di secondo livello. Sulle pensioni non faranno nulla, e per fortuna: abbiamo già la spesa previdenziale più alta del mondo.
Renzi ha deciso di candidarsi alle Europee con il Centro. È il preludio di una nuova stagione politica anche in Italia? E, soprattutto, che margini politici ci sono per una formazione di questo tipo?
L’obiettivo di creare un’offerta politica strutturata e stabile, alternativa sia al conservatorismo-populismo di sinistra che a quello di destra, è reale e comune a molti di noi. Può darsi che non ci sia sempre perfetta consonanza su quale sia il modo più efficace per arrivarci, ma dobbiamo metterci in testa che questo è un obiettivo di medio periodo. Nel breve, ci sono ancora troppi processi politici che devono consumarsi in giro per lo spettro politico italiano. Ma se me lo chiede, non ho dubbi che alle prossime elezioni politiche la novità sarà il partito dei liberal-democratici italiani.