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L’Italia torni protagonista nelle scelte europee. Parla Picierno

Non ratificare il Mes per avere più potere contrattuale è una scelta populista. Il Patto di stabilità va considerato nel contesto più ampio, benché non si debba tornare al “rigore” di prima: seguire la linea della Commissione. Il Centro di Renzi? Difficile da spiegare in Europa. E le priorità? Ricostruzione dell’Ucraina e attenzione al Mediterraneo. Conversazione con la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno

“Temo che il governo stia scegliendo di subire l’Europa, per poi scaricare su di essa responsabilità e limiti che sono propri delle politiche nazionali”. Ne è convinta la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno che a Formiche.net mette in fila tutte le sfide che attendono da un lato l’esecutivo sul piano interno e dall’altro sulle politiche europee. Considerando il fatto che, anche in vista delle prossime elezioni di primavera, i due piani saranno sempre più intrecciati. E l’orientamento verso un europeismo compiuto sarebbe una prospettiva auspicabile.

La scadenza delle Europee si avvicina sempre di più. All’orizzonte sembra profilarsi uno scenario che potrebbe vedere una maggioranza molto diversa da quella attuale. Come vede il ruolo dei socialisti?

Non credo affatto che ci troveremo di fronte ad una nuova maggioranza: resto convinta che a prevalere saranno le forze compiutamente europeiste. Non è scontato alcun esito, così come non era scontato che l’Europa dopo le tragedie della pandemia e dell’aggressione russa all’Ucraina ne uscisse più forte e coesa di prima. I socialisti e democratici dovranno allearsi con chi crede che occorra percorrere l’ultimo miglio del processo di integrazione. Servirà una grande alleanza tra chi ha raccolto il consenso su una nuova stagione di riforme in Europa.

Arriviamo alle sfide per l’Italia. Prima in assoluto, la revisione del Patto di stabilità. In che modo dovrebbe muoversi l’esecutivo per ottenere un risultato positivo per il Paese?

Partiamo dall’assunto che il Patto di stabilità non è un vestito su misura per le varie esigenze nazionali, ma deve tener conto di tutta l’economia europea, con equilibrio perché, se non c’è crescita e stabilità per l’Europa intera, nessun paese ne guadagna. Ora, si tratta di superare il rigorismo cieco e un po’ottuso del Patto così come lo abbiamo conosciuto fino alla pandemia. Serve uno strumento più flessibile, capace di adattarsi meglio alle fasi cicliche dell’economia mondiale. Vivremo con ogni probabilità tempi in cui nessuno può escludere nuove crisi, edite o inedite che siano. Non possiamo credere di essere soli al mondo difendendo il 3% del rapporto debito/Pil come fosse una scrittura sacra e immutabile. Allo stesso tempo, il principio di stabilità non è un principio in malafede, tutela le future generazioni che non potranno trovarsi con debiti che poi loro saranno costretti a pagare.

Anche Mario Draghi, sull’Economist, sostiene che tornare al vecchio schema di Patto di stabilità sarebbe un errore. Qual è la vostra linea su questo?

La nostra linea è quella emersa anche dal lavoro abbozzato dalla Commissione e dal commissario Gentiloni. Mario Draghi ha perfettamente ragione, bisogna che crescita e stabilità siano in armonia, e i primi elementi di riforma sono compatibili con questo sforzo. Ma bisogna leggere tutta l’intervista di Draghi. L’esigenza non risiede solo in un nuovo Patto, ma nel compiere quell’ultimo miglio cui accennavo prima. Politica fiscale e degli aiuti di Stato progressivamente unitaria, istituzioni europee capaci di agire e decidere rapidamente, un’integrazione più compiuta, devono far parte di un’unica proposta. L’urgenza entro il 2023 è il Patto, ma la cornice nella quale la sua riforma avrà successo è quella di una più ampia revisione del funzionamento e della sovranità dell’Unione europea.

Dal momento che la prospettiva auspicabile sarebbe quella delle alleanze, come interviene la mancata – per il momento – ratifica del Mes nei rapporti tra l’Italia e gli altri Paesi Ue?

Il governo crede che l’Unione sia un menù di un ristorante in cui prende quel che vuole per accontentare la pancia del proprio elettorato. Non ratificare il Mes per avere più potere contrattuale su altre partite, come il Patto, e per non scontentare il proprio elettorato dopo che è stato coltivato con il peggio del populismo e del sovranismo in salsa nazionale. Non funziona così, l’Europa non è un contratto sottoposto a tagliandi periodici, è il contesto nel quale abbiamo scelto di partecipare da protagonisti. Temo che il governo stia scegliendo di subire l’Europa, per poi scaricare su di essa responsabilità e limiti che sono propri delle politiche nazionali. Noi diciamo al governo che l’Italia è da sempre protagonista nelle scelte europee, e che deve tornare ad esserlo.

Torniamo alle Europee. Matteo Renzi ha deciso di candidarsi con Il Centro. Un altro soggetto si affaccia sulla scena politica. Pensa che il posizionamento sarà più vicino all’ipotetico asse Ecr-Ppe o propenderà più verso l’area socialista?

Onestamente, non ho ben capito. Mi auguro che possa essere un soggetto politico con cui poter discutere in Europa di ciò che serve per cambiare e irrobustire il continente e che non si lasci trascinare in dinamiche nazionali che potrebbero portarlo di volta in volta ad allearsi ora con i primi, ora con i secondi. Anche se può sembrare lunare, io credo ai partiti e alle grandi formazioni politiche europee, e credo che esse debbano prevalere sul confinamento nazionale della politica a cui spesso assistiamo. Il centro, in Europa, è un concetto piuttosto difficile da spiegare.

Quali, al di là dell’esito, i dossier più urgenti di cui la prossima maggioranza in Europa dovrà occuparsi?

L’adesione all’Ue dell’Ucraina e la sua ricostruzione, in primo luogo. Così come quella dei paesi balcanici che ne hanno fatto richiesta. Il ruolo in politica estera dell’Ue, a partire dal Mediterraneo e dalla epocale tragedia dei migranti, deve essere affrontato con gli strumenti della cooperazione e della diplomazia, perché non è solo un problema di affari interni. L’istituzione di un fondo sovrano per la politica industriale, finanziato con emissioni Ue, per stare al passo di quello che accade nel mondo. Ma senza riforme del suo funzionamento, l’Unione avrebbe all’arco poche frecce.



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