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In un Paese diviso serve un Presidente della Repubblica super partes. Scrive Tivelli

Tre quarti degli italiani si riconoscono nella figura al di sopra delle parti del Capo dello Stato così come incarnata oggi. Ecco perché secondo Luigi Tivelli un cocktail tipo quello tra elezione diretta del premier, o del Presidente, e l’autonomia differenziata sarebbe letale per il Paese

Non ho mai amato chi in politica o nel giornalismo vanta primazie o cerca di dire io l’avevo già detto. Devo però riferire che nei giorni scorsi, in più occasioni ho suonato l’allarme sui rischi del “vannaccismo”, soprattutto perché mi sembrava una via scelta da molti per rilanciare con forza il populismo e la miscela tra populismo e dilettantismo nel nostro Paese. Un Paese in cui sembra che i fatti più rilevanti siano l’emersione della gentile sorella della presidente Giorgia Meloni o di Giambruno, forse con qualche gaffe da qualche rete privata televisiva o cose di questo tipo.

Più volte sempre da queste colonne ho sostenuto che in questo Paese non si può togliere né limitare, né debilitare dalle radici l’unica figura istituzionale al di sopra delle parti in cui si riconoscono gli italiani, quella del Presidente della Repubblica così bene incarnata negli ultimi anni dal Presidente Sergio Mattarella.

Bene, mi pare che a questo proposito più di qualcuno più o meno consapevolmente stia scherzando con il fuoco. Il nostro è un Paese, specie tra le classi politiche, ma anche tra alte componenti delle classi dirigenti, diviso in grandi sette, cerchi magici, corporazioni, gilde. Un fenomeno definibile in qualche modo come “feudalesimo di ritorno” come già più di quarant’anni fa lo definiva il grande Guglielmo Negri. In un Paese con queste caratteristiche, in mezzo a classi dirigenti e specie politiche, come ho scritto più volte sulla base di diverse argomentazioni, senza una figura al di sopra delle parti che incarni al meglio il senso dell’unita nazionale, ci può essere il rischio di qualche progressiva forma di “spappolamento” della guida a diverso titolo del Paese. Ho scritto più volte che almeno due terzi degli italiani mostrano da diversi sondaggi di riconoscersi in questo. Di qui l’allarme sulle forme di elezione diretta, a cominciare da quella del premier, che, come hanno scritto per certi versi anche con più dovizia di me, altri costituzionalisti da queste colonne, debiliterebbe fortemente la figura del Presidente della Repubblica.

Eppure almeno fino a ieri sembra che questa fosse la via prescelta dall’impegnata ministra delle riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati. Renzi ritiene che il modello basato sul sindaco d’Italia debba essere l’ombelico istituzionale attorno a cui ruota il Paese. Per quanto valgano i sondaggi (io quelli di Diamanti su Repubblica li ho sempre guardati con attenzione) vedo che mi ero sbagliato. Sono i tre quarti, il 73% circa di italiani che si riconoscono nella figura al di sopra delle parti del Capo dello Stato così come incarnata oggi. Ho sempre pensato che gli italiani siano in fondo molto più saggi della classe politica. Così come penso che in quel 50-60% di astensionismo, per un fenomeno che forse molti in politica fingono di non vedere, ci sia una parte consistente che nasce dalla protesta rispetto ad un modo di far politica diffuso che finisce per pretermettere i veri problemi del Paese.

Mi fermo qui, anche perché altre volte ho trattato la questione sul piano giuridico-costituzionale e mi chiedo questo: cos’altro ci vuole per capire che un cocktail tipo quello elezione diretta del premier o del Presidente che sia, e l’autonomia differenziata così come voluta da Calderoli sarebbe letale per il Paese e per gli italiani? Appena scende un po’ la nebbia diffusa su questi problemi, così come quella alimentata da quello che ho definito “vannaccismo” (come stadio odierno del populismo) forse molti, anche nella maggioranza di governo, cominceranno a rendersi conto dei rischi che si stanno così correndo.

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