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Spunti originali sul primo viaggio di un comunista negli Usa

Più di qualcuno ha evidenziato che Napolitano fu il primo comunista ad ottenere un visto per gli Stati Uniti. Ma meno è stato sottolineato il significato di quel visto e di quel viaggio negli Stati Uniti. Il ricordo di Luigi Tivelli

I lettori hanno potuto vedere varie ricostruzioni della vita del Presidente Napolitano. Coccodrilli ben impostati, analisi dei vari aspetti, ruoli chiave incarnati. C’è però un momento chiave del Presidente Napolitano sin qui quasi non illuminato. Certo più di qualcuno ha evidenziato che Napolitano fu il primo comunista ad ottenere un visto per gli Stati Uniti. Ma meno è stato sottolineato il significato di quel visto e di quel viaggio negli Stati Uniti.

Non fu una missione ufficiale, (non poteva esserlo in quel momento per un comunista) tra l’altro Napolitano era il responsabile economico del Partito Comunista. L’ambientazione di questa vicenda era nel marzo del 1978. Una missione informale in cui ci fu un ruolo chiave, tra gli altri, quelli che cercarono di superare quel “lockdown” rispetto ai comunisti italiani e degli altri Paesi, di due miei grandi maestri, in modi e ruoli diversi. Guglielmo Negri, che all’epoca era presidente del Centro studi americani che aveva fondato, e Joseph LaPalombara, che negli anni precedenti si era prestato, lui grande professore di scienze politiche e poi per molti anni preside di “Politics” a Yale, a fungere da addetto culturale dell’ambasciata Usa in Italia.

Scrivo non poco sulla base dei racconti che mi fecero negli anni successivi queste due grandi personalità. Guglielmo Negri, aveva una grande amicizia con Napolitano e fu uno dei principali protagonisti di questo viaggio dopo essersi specializzato ad Harvard già nel 1951, e dopo essere stato assistente di Adriano Olivetti, fondo l’ufficio studi della Camera. Già allievo di Giovanni Conti, in seguito divenne vicesegretario generale della Camera, consigliere di Stato, direttore della attuale Scuola Nazionale di Amministrazione (oggi SNA), per molti anni fu, tra le tante cose, un grande professore di diritto costituzionale comparato e specialista del sistema statunitense. Fu anche un membro del governo Dini nel 1995 con la delega ai rapporti con il Parlamento.

Lamberto Dini è il terzo vertice di questo triangolo, che contribuì allora a dare sostanza alla missione di Giorgio Napolitano. Ovviamente la prima volta che un comunista otteneva un visto per gli Usa non poteva certo svolgere una missione ufficiale, ma per alcuni versi il livello e la qualità degli interlocutori la resero (anche se prova di incontri con ministri) abbastanza simile ad una missione di Stato. A lavorare agli incontri e ai colloqui per la parte politica fu soprattutto Joseph LaPalombara, già molto accredito consulente di amministrazioni democratiche degli Usa, che contribuì anche agli incontri a New York ed in importanti sedi accademiche. Quanto a Lamberto Dini, in quel momento direttore esecutivo del Fondo Monetario internazionale, più volte mi ha raccontato, di aver organizzato l’accoglienza a Washington comprese cene importanti con interlocutori e di aver provveduto alla progettazione e preparazione della parte economica della missione.

“Lord Giorgio”, come qualche presidente chiamava con grande rispetto Napolitano ha portato in quella missione la sua competenza, la sua autorevolezza, la sua conoscenza, la sua eleganza e il suo stile inappuntabile che fu molto apprezzato dagli interlocutori americani. Credo proprio che da quella missione provenne una sorta di “vantaggio competitivo” in più per Giorgio Napolitano, che dava un messaggio al suo partito in qualche modo di apertura forte verso i rapporti transatlantici. D’altronde l’ambientazione era quella della solidarietà nazionale che dopo pochi mesi da quella missione si sarebbe conclusa. Una fase politica e istituzionale su cui si sono concentrate critiche di diversi osservatori, ma onestamente vorrei sapere come si sarebbero potuti sconfiggere i due mostri dell’inflazione e del terrorismo senza quel governo e senza quella maggioranza di solidarietà nazionale. Una fase però solcata dal tragico rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro.

Napolitano apportava in quella dimensione di autorevolissimo responsabile economico del Pci, tutta la migliore cultura economica dei comunisti napoletani, ponendosi in linea di successione con il grande Giorgio Amendola. Una personalità che mi ha sempre affascinato, potendone leggere i libri e sentendone i racconti dall’ottima nipote Piera (moglie di Mario Pendinelli, già direttore de Il Mondo e del Messaggero), responsabile dell’archivio sulla P2 e profonda conoscitrice di tanti segreti che riguardano la P2 e le mafie. Da quel filone del migliorismo napoletano discendono tanti rivoli importanti, non solo nella politica. Ad esempio il mio frontman sulle questioni economiche della Figc era Umberto Minopoli, purtroppo da poco scomparso, da ultimo ottimo presidente dell’associazione per lo sviluppo dell’energia nucleare e allora giovane pupillo di Giorgio Napolitano.

Anche noi repubblicani e liberaldemocratici leggevamo sempre l’Unità o Rinascita e ci confrontavamo spesso con i giovani comunisti guidati da Massimo D’Alema e a livello romano da Walter Veltroni, sempre molto legato a Napolitano, e tra l’altro molto bravo e molto abile in varie dimensioni politiche e culturali, e capace di far dimenticare il suo passato comunista. Sono anni di cui conservo oltre che un grande ricordo anche, tra l’altro, l’orgoglio di aver sollevato con un mio editoriale sulla Voce Repubblicana, sulla questione del mercato del lavoro e della disoccupazione giovanile, una ferma protesta dell’allora responsabile economico del Pci Napolitano, verso i vertici del Partito Repubblicano. Napolitano era un grande signore, ma non lo scopro certo io…

Non ho mai avuto frequentazioni assidue perché io non disturbo mai le personalità con grandi incarichi istituzionali, ma c’era sempre qualche molto cortese saluto quando incontravamo e talvolta mi ricordava ancora di quell’articolo, perché aveva una memoria di ferro. Grazie a queste risorse, competenze e conoscenze forse passò con il massimo dei voti l’esame dei suoi interlocutori americani, anche se qualcuno dei quali si poteva aspettare una sorta di comunista trinariciuto, per poi trovare, invece, una sorta di lord inglese. Giorgio Napolitano è stato anche un grande professionista, di grande cultura e cultura politica, che ha saputo dimostrare sia da presidente della Camera che da Presidente della Repubblica, in quanto riusciva ad adempiere in prima persona, a compiti che tanti usavano delegare.

Napolitano, anche in occasione del viaggio degli Usa, dimostrò di sapere scegliere bene i suoi “consiglieri”, anche coadiuvato da un consigliere informale culturale come Guglielmo Negri e due chaperon culturali sul posto come Lamberto Dini e Joseph LaPalombara. Tornando alla tradizione del migliorismo napoletano esso ha lasciato ottimi semi anche al di fuori del mondo della politica. Un comunista migliorista (ma fu anche uno dei migliori e più imparziali consiglieri parlamentari del Senato), diventato poi capo di gabinetto del ministro Ciampi nel 96 e segretario generale della presidenza del Consiglio, Paolo De Ioanna, anche lui purtroppo scomparso, napoletano e napolitaniano, che era orgoglioso di essere stato in gioventù un migliorista. Semi analoghi ha immesso nel giornalismo: pensiamo, ad esempio, ad Antonio Polito, oggi uno dei migliori editorialisti del Corriere della Sera, e a Luigi Vicinanza che è stato uno dei migliori direttori dell’Espresso nell’ultimo quindicennio.

Non ho mai amato chi vanta amicizie o rapporti, ma l’ultima cosa che ricordo è stata la fortuna di avere al suo fianco una moglie come la signora e avvocato Clio, di cui ricordo le piacevolissime ed intense conversazioni quando ero un giovanissimo dirigente dell’ufficio studi della Lega delle cooperative, mentre lei era nell’ufficio legale ed avevano l’ufficio fianco a fianco. Un omaggio sentito al Presidente Napolitano anche da questo sentito angolo visivo e le più sentite condoglianze alla signora Clio e ai figli.

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