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Salvini attacca Gentiloni per erodere consensi a Meloni. Il corsivo di Cangini

Secondo il segretario della Lega, il commissario europeo agli Affari economici e monetari Paolo Gentiloni danneggerebbe gli interessi dell’Italia. Le elezioni europee si avvicinano e Matteo Salvini sta preparando il terreno. Si tratta di posizioni elettoralmente redditizie, che Giorgia Meloni non può più assumere

Non potendo (più) attaccare genericamente “l’Europa”, Matteo Salvini ha pensato bene di attaccare Paolo Gentiloni in quanto membro della Commissione europea. Al solito, non un’accusa specifica, ma una generica delegittimazione della persona. Secondo il segretario della Lega, il commissario europeo agli Affari economici e monetari Paolo Gentiloni danneggerebbe gli interessi dell’Italia.

Le elezioni europee si avvicinano e Matteo Salvini sta preparando il terreno. Lo fa a modo suo: occhieggiano agli elettori di destra che si identificano nel generale Vannacci ed evocando lo stereotipo dell’Europa matrigna. Lo fa perché si tratta di posizioni elettoralmente redditizie, ma lo fa anche perché Giorgia Meloni non può più farlo. Assunte le responsabilità di governo, la fondatrice di Fratelli d’Italia ha dovuto necessariamente accantonare gli argomenti demagogici usati durante il decennio trascorso all’opposizione. E non l’ha fatto solo perché dalla Commissione europea dipendono gli oltre 200 miliardi destinati all’Italia attraverso il Next Generation Eu. L’ha fatto perché ha capito che governare l’Italia andando contro l’Europa significa perdere prima la credibilità internazionale e poi il governo.

Giorgia Meloni l’ha capito, e infatti, nella sostanza, l’europeismo del suo governo non è dissimile da quello che caratterizzava il governo Draghi. È possibile l’abbia capito anche Matteo Salvini, dal momento che svolge la funzione di vice presidente del Consiglio, ma non avendo responsabilità dirette pare chiaro che intenda tenersi se non le mani almeno la lingua relativamente libera per marcare la differenza con la Meloni e strapparle la bandiera di leader considerato “coerente” dalla propria base elettorale. Tra i due, i fatti non cambiano. A cambiare, ma sempre entro certi limiti, sono e saranno solo le parole.

Si tratta di un gioco di specchi, naturalmente. Un gioco già visto ai tempi del primo governo Conte. “Sforare il vincolo europeo del 3% nel rapporto tra deficit e Pil? Non si può, si deve!”, maramaldeggiava Salvini nei giorni in cui il governo gialloverde metteva a punto la sua prima legge di bilancio. Questa era la teoria, allora esibita per erodere consensi al partito di Conte. La pratica, qualcuno lo ricorderà, fu piuttosto diversa: il governo non sforò del 3%, ma dello 0,3%.

PS:

Se poi l’attacco di Salvini fosse dovuto alla modestia della bozza di riforma del Patto di stabilità redatta dal commissario Gentiloni e fatta propria dalla Commissione europea lo scorso aprile, beh, lo pensa anche Mario Draghi. Al quale però non sfugge che il grado di profondità della riforma di un Trattato europeo non dipende dal peso e dalle capacità di un singolo commissario, ma dal peso e dalle capacità dei singoli governi. E al governo dell’Italia non c’è Paolo Gentiloni, c’è Matteo Salvini.


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