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La vittoria della bimba con la pèsca non aiuta né un campo né l’altro

Sullo spot di Esselunga, non nascondo che a me è piaciuta la scelta di rappresentare il punto di vista rimosso, il resto no. Ma invece di dividersi tra Guelfi e Ghibellini avremmo potuto cercare di usare questo spunto, che tale è e deve rimanere, per allargare la nostra visione al di là degli steccati

Come molti miei coetanei ho molte nostalgie, la ritengo una cosa normale. Tra queste c’è anche quella di Carosello, prima del quale noi bambini non andavamo mai a letto. È uno dei motivi per cui ritengo che Carosello abbia partecipato a definire la cultura media italiana. Noi bambini del tempo o giovanissimi non potevamo prescinderne. Aggiungo che, anche in conseguenza di questo,  non ho difficoltà a riconoscere che i pubblicitari possono essere artisti, possono essere geniali, e la loro comunicazione e capacità comunicativa non va presa sotto gamba, soprattutto da chi con la comunicazione ha a che fare. E oggi, nell’epoca dei social media, quasi tutti apparteniamo alla categoria dei comunicatori. Parto dunque da qui perché ritengo che guardare dall’alto in basso gli spot pubblicitari sia un errore da matita blu. E tanto, di positivo o negativo, ci sarebbe da dire al riguardo.

Il filmato di una nota catena di supermercati che si concentra su una bambina che compra una pèsca (con la “e” aperta, altrimenti parleremmo di altro) per poi usarla al fine di provare a favorire la riconciliazione tra i suoi genitori (separati) ha colpito tantissimi e se una cosa colpisce prima di valutarla occorre capire perché. A mio avviso ha colpito, fautori e critici, perché ha espresso il punto di vista rimosso, cioè quello dei bambini che non vivono con mamma e papà, separati. Il punto di vista rimosso quando viene esposto, o quanto meno ricordato, colpisce, sia chi apprezza la modalità narrativa sia chi la critica. Faccio un esempio. Il film “io capitano”, che ha vinto il Leone d’Argento a Venezia, esprime il punto di vista rimosso dal racconto del dramma migratorio, quello dei cosiddetti migranti, e ha colpito sia chi lo apprezza che chi lo critica, proprio per questo motivo ritengo: esprime il punto di vista rimosso.

A questo evidente merito del cortometraggio pubblicitario vanno necessariamente aggiunte delle letture del racconto, che non possono che esprimere la parzialità di chi le fa. A me è sembrato un racconto schierato contro la madre. Lei si perde la figlia nel supermercato, di certo un qualcosa di grave per tutti i genitori, ma nel racconto capita a lei. Qui si potrebbe aggiungere l’evidente indulgenza con il supermercato, dove mai accade come nel cortometraggio che la pèsca presa dalla bambina possa essere portata alla cassa senza averla imbustata e pesata. Ma questo, essendo un cortometraggio pubblicitario di un supermercato, ci sta, sebbene non possa accadere.

La mamma poi vive nella casa di famiglia, è evidente, mentre il povero marito non si vede dove abiti e questo induce a pensarlo in un luogo povero, angusto. E anche questo non induce a uno sguardo imparziale. Come non rende imparziali (tra gli ex coniugi) il comportamento del padre che con modi accattivanti (a differenza di quelli della madre) la aspetta sotto casa, quando la passa a prendere. Forse la mia sensibilità, essendo maschio, è portata naturalmente a guardare con maggiore simpatia alla madre, ma la diversità di trattamento mi sembra evidente.

C’è poi lo schieramento, chi apprezza e chi critica: guardano con simpatia i fautori della “famiglia tradizionale”, con sfavore gli altri, fautori di un superamento della “famiglia tradizionale”. Ecco allora che è il caso di dire qualcosa di loro.

I fautori della “famiglia tradizionale” dovrebbero anche chiedersi qualcosa su ciò che non c’è nel cortometraggio, e cioè quel sistema commercial-distributivo che tanto influisce sulla vita e le finanze delle famiglie, anche tradizionali ovviamente. Gli extra-profitti ci sono anche qui, mi sembra. Questo sistema è amico o nemico della “famiglia tradizionale”? Riguarda o no chi difende la famiglia tradizionale? Un amico è arrivato a chiedermi quante famiglie possano permettersi una casa come quella dove abitano mamma e figlia. Il caro affitti certamente riguarda anche le famiglie tradizionali, e certamente chi non vive in appartamenti molto spaziosi e con il parquet, come la signora e la figlia del cortometraggio, forse avrebbe qualcosa da dire a costoro, al di là della difesa ideologica della famiglia. I fautori della famiglia tradizionale ne parlano?

Passiamo ai fautori del superamento della famiglia tradizionale: cosa dicono del punto di rivista rimosso, in questo caso quello della bimba? Solo che anche altri bambini non saranno felici? Va bene, ok, ma questo punto di vista esiste o no? E’ un problema da porsi o da rimuovere?

Non siamo più ai tempi di Carosello, ma in un tempo di polarizzazioni in contrasto. Così anche un arguto e criticabile cortometraggio pubblicitario, che ovviamente nasconde le responsabilità e i guadagni spesso eccessivi dei grandi supermercati, può spaccare su poli in contrasto la nostra visione del mondo. “Siamo per la tradizione” oppure “Siamo per il cambiamento”.

Non nascondo che a me è piaciuta la scelta di rappresentare il punto di vista rimosso, il resto no. Ma invece di dividersi tra Guelfi e Ghibellini avremmo potuto cercare di usare questo spunto, che tale è e deve rimanere, per allargare la nostra visione al di là degli steccati. Non mi sembra sia andata così. In fin dei conti siamo rimasti tutti consumatori, e per la pubblicità ciò che conta é che se ne parli, bene o male purché se ne parli: non è così?


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