A qualcuno potrebbe sembrare un baratto e forse lo è: sì al Mes, in cambio della garanzia di Bruxelles a impegnarsi per un Patto di stabilità morbido immune dai rigurgiti dell’austerity. Potrebbe funzionare per il governo italiano, ma il punto è però un altro, l’Italia dovrebbe fare in fretta a ratificare il Mes, se non altro per non rimanere la Cenerentola d’Europa, soprattutto ora che i tassi mordono e la recessione bussa alla porta. Bruno Tabacci, economista che ben conosce l’Europa e i suoi arcani, politico di lungo corso (è alla sua settima legislatura) e presidente di Centro Democratico, non le manda a dire quando gli si chiede un punto di vista sulla questione.
“Il ministro dell’Economia è stato ormai messo alle strette dai suoi omologhi sul Mes, affermando che in Italia non ci sarebbero i voti per approvarlo. Ed è questo il problema, questa latitanza della ratifica non fa altro che accrescere la tensione in seno alla stessa Europa, proprio in un momento in cui si sta stringendo sulle modifiche del Patto di stabilità”, spiega Tabacci. “In questo frangente noi siamo gli unici a non aver ratificato il Mes, stiamo impedendo ad altri Paesi di poterne fare uso, qualora ne avessero bisogno. Come possiamo chiedere modifiche sostanziali al Patto, se ci rifiutiamo di approvare il Mes? Senza considerare che tutto questo impatterà sulla manovra”.
Ed è lo stesso Tabacci a spiegare le ragioni del suo pensiero. “La finanziaria non consentirà grandi spazi, con conseguenti nervosismi per l’eccesso di promesse elettorali e non, avanzate in questi mesi in preda ad un misto di eccitazione per il potere esercitato nell’annunciare misure ai propri eletti, unito alla confusione sul continuare ad additare l’Europa come l’impedimento. La verità è che il Mes andava approvato prima, non bisognava arrivare a questo punto. Anche perché, faccio notare, il Mes di oggi è molto diverso da quello di prima”.
E Draghi? Non potrebbe essere il salvacondotto, una sorta di garanzia per l’Italia in Europa? Anche qui il nostro interlocutore sgombra il campo. “Su Draghi abbiamo assistito a una grande confusione. Il governo parla di alleato in Ue ma Draghi al contrario nel suo articolo sull’Economist ha indicato la strada giusta chiedendo un’Europa federale (la confronta con gli Usa) con migliori poteri al centro in grado di affrontare la sfida di clima, ambiente, difesa e digitali. Passaggi che richiedono investimenti massicci possibili solo con un’Europa federale che poggia su un bilancio adeguato fondato anche su entrate proprie. Oggi il bilancio europeo è pari all’1% del suo Pil, quello americano al 25%. E ricordando che i Paesi beneficiari del Recovery Plan, a cominciare dall’Italia, devono onorare gli impegni usando le risorse con efficacia e successo”.