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Usa-Cina, sfida tra le acque delle isole del Pacifico

Il rinnovato interessamento americano alle dinamiche delle isole del Pacifico segna un altro passaggio del confronto con la Cina. Gli Usa offrono collaborazioni a quelle nazioni pensando alla strategia e a contrastare la narrazione di Pechino

I leader di oltre una dozzina di nazioni insulari del Pacifico si sono recentemente riuniti a Washington per un forum volto a sottolineare il rinnovato impegno dell’America verso la regione. Ci sono accordi che stanno per scadere e rappresentano un livello di complessità ulteriore a questo impegno, ce ne sono altri da implementare perché la partita di influenza è per molti aspetti rivolta a Pechino.

Il rinnovato interesse da parte degli Stati Uniti giunge in un momento cruciale infatti, poiché le isole del Pacifico sono emerse come un punto focale nella competizione in corso con la Cina – e non a caso anche la Repubblica popolare si è già mossa di conseguenza. Entrambe le superpotenze si contendono attivamente il favore di queste piccole nazioni insulari, soprattutto per ottenere l’accesso a vie d’acqua e piste d’atterraggio di importanza tattica e strategica.

La convergenza Usa-Pacifico (contestata da Pechino)

L’imminente scadenza degli accordi statunitensi con tre nazioni insulari del Pacifico rappresenta la principale preoccupazione in agenda. Joseph Yun, l’inviato che guida i negoziati degli Stati Uniti con queste nazioni, ha sottolineato al Wall Street Journal che il mancato rinnovo di questi accordi potrebbe mettere seriamente a rischio la credibilità degli Stati Uniti nella regione. Inoltre, solleva dubbi sull’impegno degli Stati Uniti nel contrastare l’influenza della Cina nell’area. E dunque, davanti a certe dichiarazioni è evidente che il dossier si sta avviando su una traiettoria opposta: gli Usa si stanno rafforzando.

Il recente vertice di due giorni alla Casa Bianca ha segnato il secondo incontro di questo tipo in meno di un anno e ha segnalato un’espansione degli impegni diplomatici e di sviluppo degli Stati Uniti nella regione. Il presidente Joe Biden ha fatto diverse promesse significative durante l’incontro, tra cui un finanziamento aggiuntivo di 200 milioni di dollari per affrontare il cambiamento climatico (enorme piaga nell’areale) e stimolare le economie locali. Vale la pena notare che questo impegno finanziario è subordinato all’approvazione del Congresso: difficilmente ci saranno problemi, perché tutto è percepito nella strategia anti-Cina, ma si sta anche entrando in un clima elettorale (e ogni sgarbo è possibile). Gli Stati Uniti hanno espresso anche l’intenzione di stabilire relazioni diplomatiche con le Isole Cook e Niue e di aprire ambasciate in queste nazioni, così come a Vanuatu nel prossimo anno.

Alcuni leader delle isole del Pacifico, tra cui il primo ministro delle Isole Salomone, che lo scorso anno ha firmato un patto di sicurezza con Pechino, hanno scelto di saltare il vertice. Hanno elogiato l’assistenza allo sviluppo della Cina come meno restrittiva e più allineata alle loro esigenze nazionali, evidenziando che la crescente influenza di Pechino nella regione è un’attività regionale — mentre quello di Washington è considerata un’interferenza di una potenza esterna.

La Cina non ha tardato a cogliere le implicazioni strategiche del rinnovato interesse degli Stati Uniti per le nazioni insulari del Pacifico, e a cavalcare la narrazione. Per esempio, il China Daily, una pubblicazione statale spesso propagandistica, ha recentemente osservato che quelle nazioni sono state ampiamente dimenticate dall’Occidente finché gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno iniziato a considerare la Cina come un rivale. Ora, la regione è diventata un punto focale nella competizione geopolitica tra le grandi potenze e quelle isole ne subiranno gli effetti: è questo il messaggio di Pechino.

In realtà, la confluenza di interessi nelle isole del Pacifico rappresenta un’opportunità sia per gli Stati Uniti che per queste nazioni. Mentre Washington cerca effettivamente di contrastare Pechino, le nazioni insulari del Pacifico possono usare il rinnovato interesse americano per spingere i propri obiettivi — essenzialmente orientati a portare avanti i loro obiettivi legati al cambiamento climatico, ai diritti di pesca, allo sviluppo sostenibile e alla coesione regionale. È questa convergenza che potrebbe fungere da efficace contrappeso agli investimenti e all’influenza cinese nella regione.

Incongruenze a Washington

Tuttavia, la tempistica di questi sviluppi è piena di incertezze. Passaggi interni al governo statunitense, che potrebbero colpire due dei partner più stretti dell’America nel Pacifico, coincidono con gli sforzi del presidente Biden di dipingere gli Stati Uniti come un partner più affidabile della Cina. Il vertice si è svolto infatti pochi giorni prima della scadenza degli accordi ventennali con gli Stati Federati di Micronesia e le Isole Marshall, prevista per il 1° ottobre. Inoltre, la stessa data rappresenta il termine ultimo per l’approvazione del bilancio da parte degli Stati Uniti e per evitare uno shutdown governativo, che potrebbe potenzialmente interrompere il processo di rinnovo, spingendolo oltre la data di scadenza.

Questi accordi sono di estrema importanza perché garantiscono l’accesso ad alcuni programmi governativi statunitensi, permettono ai cittadini di queste nazioni di vivere, lavorare e studiare negli Stati Uniti senza visti e forniscono centinaia di milioni di finanziamenti. In cambio, gli Stati Uniti si assicurano l’accesso senza ostacoli alle acque e alle vie aeree strategiche di questi Paesi. I negoziati per garantire questi accordi sono in corso e i funzionari statunitensi si sono dichiarati consapevoli della posta in gioco e delle sfide, sottolineando l’urgenza di raggiungere rapidamente un accordo solido.

In definitiva, il rinnovato impegno degli Stati Uniti con le nazioni insulari del Pacifico ha implicazioni geopolitiche significative, soprattutto nel contesto della competizione tra Stati Uniti e Cina. L’esito dei negoziati in corso e la capacità di rinnovare accordi chiave avranno conseguenze di vasta portata sulla stabilità della regione e sull’equilibrio di influenza tra i principali attori globali. L’amministrazione Biden non può sbagliare, anche perché si avvicina l’esame elettorale.


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