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Un centro a Washington basterà a rafforzare la centralità dell’Asean?

La recente riunione dell’Asean, che ha anticipato il G20, dimostra come l’associazione debba affrontare sfide e competizioni anche legate al dualismo Cina-Usa. Washington propone un centro di cooperazione, Pechino approfondisce la sua influenza e Tokyo nel frattempo cerca di recuperare spazi

In occasione dell’Asean Summit ospitato in questi giorni a Giacarta, in Indonesia, la vicepresidente statunitense Kamala Harris ha ufficialmente annunciato l’intenzione di stabilire un Centro Usa-Asean a Washington, attraverso partnership pubblico-privato. Il dipartimento di Stato, che da tempo informa i giornalisti sul background di questa struttura operativa e geopolitica, ha avviato questa iniziativa in collaborazione con l’Arizona State University (Asu). L’obiettivo del Centro è di istituzionalizzare e approfondire le relazioni tra gli Stati Uniti e l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico, allo stesso tempo rafforzando il sostegno all’engagement economico e culturale degli Stati Uniti con il Sud-Est Asiatico.

L’America c’è 

È una risposta concreta all’assenza di Joe Biden al vertice, criticata da alcuni osservatori locali: gli indonesiani soprattutto non l’hanno digerita bene, l’hanno vista come un parziale disinteresse statunitense. “Sin dalla creazione della nostra partnership di dialogo nel 1977 — sottolinea in una nota stampa il dipartimento di Stato — l’Asean e gli Stati Uniti hanno sviluppato una vasta cooperazione in diversi settori, focalizzandosi sulla sicurezza politica, l’economia e la cultura sociale”. Gli Stati Uniti sono la principale fonte di investimenti diretti esteri nel Sud-est asiatico, e oltre 6.200 imprese statunitensi hanno contribuito al raggiungimento del record raggiunto nel 2022 di scambi commerciali totali tra gli Stati Uniti e le nazioni dell’associazione: 520,3 miliardi di dollari, che hanno generato 625.000 posti di lavoro nei 50 Stati americani e 1 milione di posti di lavoro nell’intera regione del Sud-Est Asiatico, stando ai dati del dipartimento.

Questa stretta partnership si riflette anche nell’aumento degli scambi interpersonali tra gli Usa e i 690 milioni di abitanti delle nazioni che compongono l’Asean, così come nell’incremento del numero di studenti provenienti da quei Paesi iscritti negli atenei americani. Un grande vettore di soft power mentre la Cina aumenta a sua volta l’influenza in una regione frizzante e ricca di opportunità. “Le attività del Centro mireranno a sostenere gli sforzi congiunti degli Stati Uniti e dell’Asean per promuovere una regione aperta, connessa, prospera, resiliente e sicura”, spiega State.

Lo stato dell’associazione

L’Asean rappresenta l’organizzazione intergovernativa di maggior rilevanza nella regione del Sud-Est asiatico, e comprende Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, il reietto Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam. Il raggruppamento tiene insieme alcune delle economie in più rapida crescita al mondo e mira a promuovere lo sviluppo economico, sociale e culturale delle nazioni dell’area, contribuendo al contempo alla stabilità regionale. Nel 2025 anche Timor Est dovrebbe entrare nel blocco, rafforzando così la centralità nelle dinamiche indo-pacifiche. Il concetto di “centralità dell’Asean” è fondamentale, spiega una fonte diplomatica regionale, perché l’associazione vuole essere “il luogo primario per le discussioni delle dinamiche regionali, ma deve imparare ad agire in forma strategica”.

L’associazione vive davanti a sé diverse sfide e difficoltà. Una delle principali preoccupazioni riguarda la crisi in corso in Myanmar, dove i leader militari hanno ostacolato gli sforzi per instaurare la pace e risolvere il conflitto in corso. La rivoluzione militarista a Naypyidaw ha causato sofferenze (circa 30 mila morti), una crisi umanitaria e la distruzione di infrastrutture pubbliche, con impatti negativi sulla stabilità regionale. Mentre l’associazione ha scelto di isolare i golpisti birmani, il governo tailandese ha avviato un dialogo con loro, indebolendo la posizione del blocco e dimostrandone le differenti visioni.

Inoltre, l’Asean è preoccupata per le attività della Cina nel Mar Cinese Meridionale, una regione cruciale per il commercio internazionale su cui affacciano molti dei membri. Diversi di essi hanno rivendicazioni sovrapposte in questa zona, e la coalizione ha cercato di negoziare un Codice di condotta (Coc) con la Cina per regolare le interazioni nella regione. Tuttavia, il rispetto di tale condotta è stato un problema, e la scorsa settimana tra le mappe revisioniste del ministero delle Risorse naturali cinesi c’erano anche le classiche con cui il Partito/Stato perimetra la sovranità egemonica nel bacino conteso.

Fase molto attiva

Pechino è in grado di esercitare forme di coercizione, essendo il principale partner di diversi Paesi della regione. Il Vietnam e soprattutto le Filippine hanno recentemente manifestato tensioni con Pechino riguardo alle rivendicazioni marittime. Queste frizioni hanno creano complicati scenari. Alcuni, come Manila, stanno scegliendo la via del rafforzamento militare stringendo partnership sempre più intense con gli Stati Uniti e alcuni alleati regionali. Dopo aver concesso quattro nuove basi agli americani, e dopo essersi legato al Giappone, il governo filippino ha scelto di elevare le relazioni con l’Australia a partnership strategica — significativo che la decisione sia stata annunciata in occasione della visita del primo ministro australiano a Manila, la prima da parte di un leader australiano negli ultimi 20 anni.

L’editorial board del Japan Times ha fatto una riflessione su come il dualismo tra Cina e Usa stia “usurpando” il ruolo dell’Asean come riferimento di ciò che accade nella regione, sottolineando invece come il Giappone abbia acquisito storicamente un ruolo da interlocutore perché percepito come attore regionale e terzo dal gruppo. Dopo anni di investimenti e aiuti, Tokyo ha guadagnato credibilità, ma il JT sottolinea che attualmente anche i giapponesi rischiano di essere visti troppo “partisan”. Non è un caso se Fumio Kishida, il primo ministro giapponese, ha usato l’assenza al vertice di altri big per lanciare un forum speciale Tokyo-Asean che intende ospitare a dicembre e altre iniziative per il capacity-building delle linee di approvvigionamento marittime.


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