I rappresentanti dell’Osservatorio sul conflitto ucraino arrivano a Roma per cercare di unire gli sforzi con altri attori. Con l’obiettivo salvare al più presto i bambini ucraini vittima delle deportazioni forzate dei russi
Nella tragedia dell’invasione russa ai danni dell’Ucraina, nessuno viene risparmiato dalle violenze della guerra. Neanche i bambini, che diventano vittime inconsapevoli di una dinamica molto più grande di loro che possono soltanto subire in silenzio: strappati con la forza dalle loro famiglie e dalla loro casa, e trasferiti in terra straniera per essere “ri-educati” a nuovi valori e ad una nuova vita, contro la loro volontà. È questo il tema della tavola rotonda tenutasi all’ambasciata statunitense presso la Santa Sede, nella mattina di martedì 26 settembre, alla presenza di Susan Wolfinbarger, responsabile dell’Ufficio Informazioni Geospaziali del Dipartimento di Stato Americano, e di Raymond Nathaniel, executive director dello Yale Humanitarian Lab, una delle istituzioni parte del programma “Osservatorio dei conflitti” sponsorizzato dal Dipartimento di Stato.
Questo progetto è stato lanciato nel maggio del 2022 con l’obiettivo di raccogliere, verificare e condividere le informazioni pubblicamente accessibili riguardanti crimini di guerra, abusi dei diritti umani ed altre atrocità commesse all’interno del teatro ucraino. “In questo modo, tali informazioni potranno poi essere impiegate come prove valide all’interno di processi giudiziari di diverso tipo” afferma speranzosa Wolfinbarger. Fino ad ora l’Osservatorio si è occupato di diverse tematiche, dal processo di “filtraggio” imposto dalle autorità russe ai cittadini ucraini nei territori occupati, alla stima dei danni causati in grandi centri abitati come Mariupol o al danneggiamento di siti culturali e sanitari, arrivando fino alla “deportazione” dei bambini: tematica che è stata il nucleo intorno a cui si sono strutturati gli sforzi dello Yale Humanitarian Lab.
“Siamo venuti a Roma per un incontro con la Chiesa Cattolica, incontro che è stato molto importante poiché ci ha permesso di vedere quanto essa sia interessata al destino di questi bambini”, ha commentato Nathaniel, il quale ha avuto l’opportunità di incontrarsi sia con il Cardinale Matteo Maria Zuppi che con monsignor Mieczysław Mokrzycki, arcivescovo metropolita di Leopoli, per discutere della situazione.
I bambini vittima di questa meccanica forzata di spostamento e rieducazione arrivano da contesti diversi. Alcuni di questi sono stati presi nei territori dell’Ucraina orientale occupati dai separatisti già dal 2014, oppure appartengono alla categoria degli “sfollati”, ovvero bambini evacuati dalle istituzioni statali ucraine che sono però stati catturati dai soldati russi durante le prime settimane di combattimenti. O ancora, possono essere stati presi con la forza dai soldati russi durante gli scontri in aree urbane come quella di Mariupol (e per questo indicati con la locuzione “Battelfield Kids”), o addirittura strappati dai loro genitori durante il processo di “filtraggio” avvenuto negli appositi campi istituiti dai Russi. Mentre per i primi due gruppi sono disponibili alcune cifre (6.000 sarebbero i bambini appartenenti al primo insieme, mentre secondo il governo ucraino quelli inclusi nel secondo ammonterebbero a 19.000), non si ha un dato di riferimento per quel che riguarda il terzo e il quarto gruppo. I bambini vengono quindi immessi in una rete di impianti (in parte coincidenti con quelli impiegati dall’Organizzazione dei Pionieri di Josif Stalin) che si estende attraverso un’area geografica di oltre 3.500 chilometri, dalla Crimea a Mosca, fino alle coste del Pacifico.
Portando avanti questo processo, la Russia si è resa colpevole di due crimini distinti anche se fortemente collegati. Il primo è quello della deportazione forzata, ovvero quando le vittime vengono trasferite dal loro paese d’origine ad un altro Paese, in violazione del diritto internazionale. Il secondo è quello del transfering, che si manifesta nello spostare i bambini da un gruppo etnico ad un altro. Un precedente lo si può individuare nella sottrazione di bambini alle famiglie polacche da parte dei nazisti, per riaffidarli a famiglie tedesche. L’odierna “russificazione” è esattamente la stessa cosa.
Nathaniel individua le ragioni di questo fenomeno nella necessità di fare “rebranding” su questo conflitto da parte delle autorità russe, che così dimostrano di salvare “bambini innocenti dalle grinfie di perfidi nazisti”, e allo stesso tempo di avere a disposizione dei veri e propri ostaggi su cui eventualmente poter fare leva in sede di trattativa.
“In questo momento siamo nella golden hour”, incalza Nathaniel, riferendosi a quella finestra temporale successiva ad un grave incidente dove un intervento medico può salvare la vittima, “ma presto potremmo non esserlo più. Prima riusciremo a riportare a casa questi bambini, minori saranno i danni. Altrimenti saranno necessari molti decenni, e l’utilizzo di identificazione tramite Dna o altre tecniche complesse, per poter rimettere in contatto questi bambini con i loro veri genitori.
E l’Osservatorio si sta sforzando molto in questa direzione. Con risultati tangibili: la pubblicazione di un report sull’argomento nel febbraio di quest’anno ha portato all’incriminazione del presidente russo Vladimir Putin e della Commissaria presidenziale per i Diritti dei bambini in Russia Marija L’vova-Belova, proprio per i crimini che abbiamo menzionato poche righe sopra. Adesso, il lavoro dell’Osservatorio si concentra nel raccogliere più dati possibili riguardo al numero di bambini coinvolti e alle strutture che permettono di mettere in atto questa deportazione sistemica.
Grazie alle fonti messe a disposizione dai russi stessi, in alcuni dei canali social più utilizzati in Russia (come Telegram e VK) sono cominciate a comparire fotografie ritraenti funzionari di governo locali della Federazione Russa assieme ad i bambini ucraini, foto atte a promuovere il processo di “russificazione” in corso. Queste foto rappresentano la fonte primaria per gli analisti dell’Osservatorio riguardo alla catena di comando che gestisce l’operazione, al numero di bambini coinvolti, ed anche alle località dove tutto ciò avviene. Grazie a dettagli apparentemente irrilevanti, come il tipo di muro che compare nelle foto, e all’aiuto delle immagini satellitari, si è riusciti a ricostruire la catena logistica e ad effettuare una mappatura delle località. Un mosaico di dati, che però ha permesso di avere informazioni chiare e verificate.
Gli scopi di questo sforzo, sottolinea Nathaniel, sono molteplici. Oltre al primario di riportare i bambini al sicuro in territorio ucraino, l’intento è quello di riuscire nella loro identificazione, di mettere i perpetratori di questi crimini di fronte alle loro responsabilità, e di fornire un supporto psicologico alle famiglie toccate da questa orribile dinamica.
(Immagine tratta dal sito dell‘Osservatorio sul conflitto ucraino)