La diplomazia Usa è al lavoro per riavvicinare Riad e Abu Dhabi sulla guerra civile in Yemen, sperando di trovare una posizione condivisa da entrambi. Senza di essa, le prospettive di una fine del conflitto diventano ancora più recondite
Il governo americano starebbe lavorando all’organizzazione di un meeting trilaterale con rappresentanti dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti per discutere della situazione in Yemen, con l’obiettivo di livellare le differenze di posizione tra i due attori mediorientali e permettere un conseguente riavvicinamento, senza il quale gli sforzi profusi fino ad ora per la pacificazione del Paese travolto dalla guerra civile rischierebbero di rivelarsi vani. Tim Lenderking, inviato speciale degli Stati Uniti per lo Yemen, sarebbe alla guida di questi sforzi, con l’obiettivo di riuscire ad avere un primo confronto introduttivo a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che sta avendo luogo in questi stessi giorni. Una persona informata sulla posizione degli Emirati Arabi Uniti ha detto che “stanno cooperando con gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita a livello trilaterale da diverse settimane”.
I rapporti tra i due Paesi arabi non sono al momento ottimi. L’Arabia Saudita è impegnata nel tentativo di affermarsi come principale hub finanziario della regione, una posizione ricoperta (almeno fino ad ora) dagli Emirati Arabi. Questa concorrenza ha influito sull’instaurarsi di un gelo diplomatico tra i due attori, impattando anche sulle dinamiche di teatri esteri dove i due attori erano in qualche modo impegnati. Lo Yemen è solo uno di questi casi.
I due Stati avevano entrambi preso parte (con ruoli preminenti) alla coalizione che nel 2015 era intervenuta militarmente in Yemen, in seguito all’occupazione pressoché totale del Paese da parte dei ribelli Houthi sostenuti dalla teocrazia iraniana. Ma mentre Riad aveva scelto di sostenere il governo legittimo yemenita, Abu Dhabi aveva deciso di appoggiare il Southern Transitional Council, organo guida di un movimento separatista che puntava alla scissione della regione meridionale dal resto del Paese. Nel 2019, poi, gli Emirati Arabi Uniti avevano deciso di ritirarsi dalla coalizione e dalla partecipazione diretta al conflitto.
L’Arabia Saudita, rimasta ingolfata nella guerra civile yemenita (dove è in corso sin dal 2022 un cessate il fuoco sponsorizzato dagli Stati Uniti, seppur interrotto da scontro episodici), sta cercando una soluzione per eiettarsi da questo teatro. Anche in ottica del suo tentativo di stringere un accordo di difesa con Washington, dove alcuni politici si stanno dimostrando titubanti nei confronti di questa eventualità proprio a causa del coinvolgimento di Riad nelle dinamiche belliche menzionate poco sopra.
Ma gli Emirati Arabi, secondo quanto riporta una fonte anonima vicina ad Abu Dhabi al Financial Times, temono che un ritiro dell’Arabia Saudita comporterebbe l’acquisizione di un totale controllo del Paese da parte della coalizione ribelle, con rischi concreti che questi possano “esportare” le violenze oltre i confini dello Yemen. “Il piano degli Emirati è quello di rafforzare i propri alleati nello Yemen, poiché la loro valutazione è che il conflitto tornerà a prescindere dall’accordo. I Sauditi sono molto più desiderosi di uscirne. Ritengono di poter ottenere il rapporto che vogliono con gli Houthi” sono le parole esatte della fonte.
Una visione che sembra essere confermata dalla recente visita di una delegazione Houthi nella capitale saudita, proprio con l’intenzione di discutere su come porre fine alla guerra civile yemenita. Colloqui che Farea Al-Muslimi, esponente del think-tank Chatham House, dichiara essere promettenti, con possibilità concrete di arrivare ad un accordo per ampliare la tregua. Ma gli Emirati Arabi Uniti si sentono esclusi dai negoziati. “Gli Emirati hanno la sensazione che l’Arabia Saudita li abbia lasciati fuori. A nessuno piace non essere invitato a una festa”.