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Opportunità e necessità della Zes unica per il mezzogiorno. L’analisi di Pirro

Dopo l’approvazione del decreto legge, dovrà essere l’intero Mezzogiorno con i suoi stakeholder, le sue istituzioni elettive, il suo sistema bancario, le sue strutture scientifiche e tutta la sua popolazione a doversi impegnare in una nuova grande sfida per la riduzione dei divari con il Nord. Il commento del prof. Federico Pirro, Cesdim-Università degli Studi di Bari

La proposta avanzata dal ministro Fitto e recepita nel Decreto legge di giovedi 7 settembre di istituire una Zes unica nell’Italia del Sud – accolta in precedenza dalla Commissaria europea Vestager e pienamente condivisa da associazioni datoriali, amministratori locali e larghi settori dell’opinione pubblica meridionale – presenta intuibili profili di opportunità e necessità.

Il primo è costituito dall’urgenza ormai indifferibile di offrire ai grandi mercati internazionali dei capitali una vasta area del Paese inquadrandola in un’ottica geograficamente unitaria per attrarvi nuovi investimenti che andrebbero ad aggiungersi a quelli già elevati concentrati nel Sud Italia da lungo tempo.

Nel Mezzogiorno infatti non siamo all’anno zero, è bene ripeterlo, ove mai ve ne fosse bisogno: abbiamo più volte ricordato la presenza nelle sue regioni di impianti strategici dell’industria italiana come quelli siderurgici, petrolchimici, automobilistici, aeronautici, energetici, agroalimentari e dell’ict, oltre che di tanta industria leggera.

Per non parlare delle grandi produzioni agricole e dell’appeal indiscusso di innumerevoli comprensori turistici ormai rinomati nel Paese e all’estero. Ma proprio perché il Meridione non è affatto un deserto industriale, e non si accinge in alcun modo a diventarlo, è realistico pensare che possano esservi attratti altri massicci investimenti per crearvi nuove filiere produttive e consolidarvi quelle già esistenti, in un quadro di reciproche convenienze di imprese, territori e loro popolazioni.

Si pensi, solo per fare qualche esempio, alla possibilità di produrre parchi di tecnologie per le energie da fonti rinnovabili, alle rilevanti potenzialità esistenti nella progettazione e realizzazione di macchine utensili e centri di lavorazione a controllo numerico, agli spazi larghissimi tuttora presenti per la produzione di una vastissima gamma di apparecchiature elettro e biomedicali, così come di nuova farmaceutica.

Insomma, la struttura produttiva già esistente renderebbe convenienti nuovi insediamenti che vadano a colmare i vuoti tuttora percepibili nell’articolazione merceologica di quella stessa struttura.

Ma accanto ai presidi manifatturieri distribuiti sia pure in misure ineguali nelle 8 regioni meridionali, il Mezzogiorno può schierare nello scenario competitivo internazionale un’armatura portuale di grande rilievo per movimentazioni container e traffici di passeggeri e di Ro-Ro, come è emerso nuovamente da un pregevole studio della SRM del Gruppo Intesa Sanpaolo, presentato giovedi 13 luglio a Napoli: dal porto di Gioia Tauro, tornato ad essere hub per traffico container di standing internazionale grazie all’impegno e agli investimenti della Msc, alle molteplici attività di trasporto passeggeri e rotabili del grande Gruppo armatoriale Grimaldi; dagli scali di Napoli e Salerno, al porto di Cagliari e a quelli di Palermo, Augusta e Catania in Sicilia, per finire agli approdi di Taranto, Brindisi, Bari e Manfredonia in Puglia e di Vasto e Ortona in Abruzzo.

Ma l’Italia meridionale vanta anche sistemi aeroportuali in piena fase espansiva per numero di voli e passeggeri in transito con gli scali di Bari e Brindisi – oltre a quelli di Capodichino a Napoli, Lamezia Terme, Catania, Palermo e Cagliari – e vasti interporti come quelli di Marcianise e Nola in Campania e di Bari in Puglia.

E anche il sistema della ricerca candida il Sud ad attrarre nuovi investimenti, dalle Università ai centri del Cnr e di altre prestigiose istituzioni. Agricoltura e turismo, a loro volta, offrono derrate strategiche non solo per il nostro Paese ma anche per le esportazioni, e poli territoriali e museali di rilievo mondiale nei quali calamitare nuovi investimenti sperabilmente di big player alberghieri e di servizi per il tempo libero.

Allora, è giunto il momento di imprimere un possente colpo d’ala a questo imponente “insieme di convenienze” costituito dal Sud Italia, e la proposta del ministro Fitto si muove esattamente in questa direzione: il Mezzogiorno, insomma, si presenterebbe come “nuova grande frontiera” della crescita nazionale, al servizio dell’Europa e del Mediterraneo.

Altra necessità di una Zona unica: la sua istituzione evita il pericolo che si stava palesando di “asimmetrie competitive” fra imprese già inserite nelle 8 Zes precedentemente istituite, o che si accingevano ad insediarvisi, e aziende esterne ai perimetri catastali definiti, che non avrebbero potuto giovarsi delle semplificazioni e accelerazioni autorizzative consentite nelle Zone, con l’evidente rischio che potesse poi sollevarsi un quesito di legittimità costituzionale almeno di qualche articolo dell’attuale dettato legislativo.

La Zes unica entrerebbe in funzione dal 1° gennaio del 2024 e avrebbe durata decennale. Il decreto legge inoltre prevede l’istituzione di una Struttura di missione cui, attraverso lo sportello unico digitale Zes, verrebbero indirizzate le domande delle aziende desiderose di insediarsi nel Mezzogiorno e tempi di risposta di avvenuta accettazione oltremodo brevi a tali istanze.

Una volta prese in carico dagli uffici della Struttura di missione, esse dovrebbero essere istruite e smaltite con percorsi autorizzativi in archi temporali predeterminati con procedure semplificate che culminerebbero nel rilascio della autorizzazione unica alla realizzazione dell’investimento. Al riguardo, è stata da più parti sottolineata la necessità che la Struttura di missione debba essere costituita non solo da personale altamente specializzato in istruttorie complesse di investimenti di varia natura, ma anche da un numero molto elevato di addetti perché è prevedibile (ed auspicabile) che le domande di nuovi interventi possano essere numericamente molto elevate, essendo tutto il territorio del Mezzogiorno incluso nella Zes.

Ed è altrettanto intuibile che l’intero staff operativo della Struttura di missione debba poi essere disponibile a viaggiare nel Sud per interfacciarsi all’occorrenza con tutti i soggetti istituzionali preposti, per quanto di rispettiva competenza, a rilasciare i nullaosta agli investimenti in istruttoria; infatti, per quanto molte fasi di tali percorsi autorizzativi possano essere gestite con conference call e via webinar, dovrebbero prevedersi anche ove necessari sopralluoghi sul terreno, in aree industriali, aree artigianali o in zone da attrezzarsi ex novo sotto il profilo infrastrutturale, soprattutto se fossero grandi gruppi esteri a giungere nel Sud e a proporvi investimenti greenfield o brownfield.

Insomma, concentrare a Roma la plancia di comando e l’articolazione organizzativa della Struttura di missione della Zes Unica non dovrà lederne in alcun modo la scioltezza operativa e soprattutto rallentare i tempi di lavorazione delle singole pratiche, perché – è inutile nasconderselo – se ciò malauguratamente accadesse verrebbe irrimediabilmente minato il presupposto stesso della Zes.

L’azienda destinataria dell’autorizzazione potrebbe poi essere ammessa su sua richiesta a fruire di un credito di imposta, erogabile secondo soglie predefinite in relazione all’entità dell’investimento. L’ammontare delle risorse al momento previste per finanziare i crediti di imposta è di 1,5 miliardi all’anno per tre anni, durante i quali inoltre dovrà essere definito un Piano strategico di sviluppo del Sud che avrebbe la funzione di orientare i nuovi investimenti alla luce anche di consolidate specializzazioni produttive delle singole regioni. Tale Piano fungerebbe da quadro di riferimento per i nuovi Accordi di coesione fra governo e singole Regioni, finalizzati a definire con precisi programmi di spesa e relativi cronoprogrammi l’impiego delle quote del Fondo Sviluppo e Coesione ripartito recentemente per le Regioni.

Ora però, ripetiamolo per l’ennesima volta, dopo l’approvazione con eventuali modifiche nell’iter parlamentare di conversione di questo decreto legge – che segna comunque una svolta profonda nella politica di intervento dello Stato nel Sud – dovrà essere l’intero Mezzogiorno con i suoi stakeholder, le sue istituzioni elettive, il suo sistema bancario, le sue strutture scientifiche e tutta la sua popolazione a doversi impegnare in una nuova grande sfida per la riduzione dei divari con il Nord, senza pensare che debba essere sempre e soltanto lo Stato o agenti esterni a cambiare un destino di sottosviluppo cui nel Meridione non siamo stati affatto condannati da sempre nel passato o per il prossimo futuro.

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