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L’indispensabile ruolo degli arabi cristiani. La riflessione di Cristiano

I cristiani possono essere “le finestre” in un mondo in cui le società chiuse guardano al passato e chiuse al resto del mondo. Solo questo, non l’affezione religiosa, ne determina l’importanza, oggi l’insostituibilità. La riflessione di Riccardo Cristiano

Ora che tutto sembra bruciare il viaggio in Terra Santa sembra un ricordo lontano, inutile. Non lo è. Ci sono almeno tre punti importanti per l’oggi del viaggio di papa Francesco in Terra Santa. Era il 2014 quando Francesco si recò a Gerusalemme con il rabbino Abraham Skorka e l’imam Omar Abboud, entrambi membri della delegazione pontificia. Come sottovalutare una simile novità? Il secondo punto riguarda quanto disse, rivolgendosi al Gran Muftì, massima autorità musulmana locale, invitando tutti i fedeli a vedere il dolore dell’altro. Impossibile? Molti lo affermano, eppure se quasi la totalità dei viventi ha due occhi, non è per vedere a destra e a sinistra? E se ha due orecchie non sarà per sentire da entrambe le parti? Vedremo tra poco perché riuscirci sia comunque difficile. Prima occorre soffermarsi sul terzo punto di quel viaggio: raggiungendo  Betlemme infatti si fermò e toccò il muro di separazione tra israeliani e palestinesi: qual era il senso di quel gesto? Intervistato da padre Antonio Spadaro l’imam Omar Abboud ne ha dato la spiegazione più efficace: “Cosa faceva Gesù imponendo le mani? Toccava i malati per guarirli. Francesco fa lo stesso: tocca i muri per risanarli”. E’ un’immagine astratta, una poetica del gesto? No. Perché se i muri sono ferite sono su di noi e dentro di noi.

Questo mi induce a tentare di dire qualcosa su quale sia il ruolo dei cristiani nel mondo arabo e perché sia importantissimo riscoprirlo proprio oggi. Dei tre punti citati quello centrale è il decisivo, a mio avviso. Cosa ci porta a ritenerlo impossibile? La spiegazione la dava già vent’anni fa Amin Maalouf scrivendo che “ il concetto tribale di identità è ancora prevalente in tutto il mondo”. Questa identità tribale deriva per lui dall’identificarla con una sola affiliazione. Amin Maalouf è libanese di nascita, francese di adozione, oggi è segretario dell’Accademia francese. Dunque lui, di madrelingua araba, è d’ufficio il custode della lingua francese.  Da anni scrive con grande profondità di chi vive a cavallo tra  mondi in contrasto: un figlio di madre croata e di padre serbo, si è chiesto, avrà partecipato ai massacri etnici che anni fa hanno straziato quelle terre?

È una domanda importante per capire perché, non solo umanitariamente, Francesco insista tanto sull’integrazione dei migranti. L’integrazione non è questo? Se invece di assimilazionismo e multiculturalismo si fosse scelta l’interculturalità, oggi le famiglie “miste” non sarebbero più numerose? Non avremmo ponti all’interno delle nostre società europee? E invece le società assimilazioniste e quelle multiculturali (dove ogni comunità vive per fatti suoi) ci parlano di immigrati di seconda generazione che sentendosi spaesati sono attratti dalla riscoperta, dalle “origini”, in un mondo nel quale si sentono estranei, a differenza di quella di prima generazione che questo mondo hanno scelto. Questo vale per le nostre società  e per questo delle società arabe completamente islamizzate sarebbero società chiuse al resto del mondo. Il loro passato, che già è stato violato, non è così, il Levante arabo o è cosmopolita o non è. I cristiani dunque ne sono “le finestre”. Solo questo, non l’affezione religiosa, ne determina l’importanza, oggi l’insostituibilità. E questo ci porta, inquadrandolo in cenni alla storia recente, all’importanza di quanto tentato dal patriarca di Gerusalemme, il cardinale Pizzaballa (nella foto), interprete fedele del viaggio di Francesco.

Senza voler né poter rifare la storia delle società arabe, va detto che purtroppo i cristiani non sono riusciti a svolgere questo ruolo di apertura delle loro società dopo l’Ottocento, per tanti motivi. Dopo il disastro libanese il fallimento esiziale è avvenuto in Siria, quando la contenutissima partecipazione cristiana alla Primavera ne ha favorito una radicalizzazione e islamizzazione. Il pregiudizio di chi li vedeva come quinte colonne dell’Occidente ha trovato conforto nelle loro azioni, determinate in realtà dalla paura,  dalla sfiducia, che nessuno di noi ha aiutato a superare. Ecco perché ho sempre provato fastidio per chi riferendosi alla città siriana di Maalula ha ricordato che lì si parla ancora l’aramaico, “la lingua di Gesù”. Le origini sono lontane, la realtà è che i cristiani di quel mondo oggi sono arabi, parlano arabo, dunque sono “arabi cristiani”, quindi un antidoto alla chiusura tribale. Nella loro lingua odierna, quella che parla ciascuno di loro, Dio si dice Allah. È così. E questo può dare un enorme contributo a quei popoli a uscire dalla solitudine in cui si sentono chiusi e in cui  alcune dinamiche li vogliono isolati ancor di più.

La resistenza araba ad accettare la globalizzazione è stata sfidata dalla Primavera, che archiviava il concetto di massa in favore di quello di popolo. La massa è compatta, non contempla diversi colori. Per questo partecipare alla Primavera da parte dei cristiani avrebbe facilitato l’avvicinamento arabo alla globalizzazione e quello di una globalizzazione finalmente rispettosa delle diversità, cioè capace di differenziare tra società e massa. Quel che voleva fare la Primavera. È questa la grande occasione che i cristiani hanno perso, per paura. Ma se le sconfitte vengono capite, allora può emergere un gesto individuale, nulla di più, ma emozionante, come quello dei patriarca di Gerusalemme, che si è offerto in ostaggio ad Hamas, al posto dei bambini presi orrendamente in ostaggio.

Quasi trascurato, questo gesto apriva la porta alla comprensione del dolore dell’altro. Ma come? Non era solo un’affermazione senza alcuna possibilità di realizzarsi? No. Lì c’era un ponte che veniva proposto. Il patriarca non è arabo, il patriarca Pizzaballa è italiano. Ma rappresenta ed esprime i cristiani, quasi tutti “arabi”, di Gerusalemme. Quel gesto, fatto da lui, diveniva così arabo, oltre che cristiano. Depositario di un ruolo sociale all’interno della sua società. Questo ruolo oggi lo dovrebbero svolgere i cristiani libanesi. Non mi sembra facile sperarci. Forse nei prossimi giorni ci sarà modo di dire perché. Forse.

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