La frontiera con la Slovenia appare come il potenziale nuovo buco nero tra Ue e Balcani, non fosse altro perché le politiche di allargamento sono considerate parte fondamentale della strategia di Bruxelles, pre e post guerra in Ucraina. La spirale di folle violenza targata Hamas ha rimesso in discussione, come dopo il Bataclan, gli elementari principi di circolazione in sicurezza
Falle nei controlli, i lupi solitari transitano dalla Slovenia. Questi i rilievi di “sicurezza nazionale” che hanno portato il governo italiano a decidere per la sospensione di Schengen al confine con la Slovenia, dove sono stati ripristinati i controlli. Si apre dunque, dopo l’attacco di Hamas a Israele, un nuovo fronte geopolitico in tutta quella macro area che abbraccia Mediterraneo, centro Europa e Balcani, con particolare riferimento ai Paesi dell’ex Jugoslavia: il timore, non più tale, di un possibile colpo inferto all’allargamento dell’Ue verso est.
Hamas e Ue
La frontiera con la Slovenia appare plasticamente come il potenziale nuovo buco nero tra Ue e Balcani, non fosse altro perché le politiche di allargamento sono considerate parte fondamentale della strategia di Bruxelles, pre e post guerra in Ucraina. Se fino a prima dell’invasione russa il cronoprogramma di adesioni era stato tarato su riforme, progressi sociali e condizioni economiche, da un anno e mezzo a questa parte il metodo in prospettiva è cambiato, anche per evitare che quei Paesi (da troppo tempo in attesa) fossero tentati di rivolgersi “altrove”.
Dunque la spirale di folle violenza targata Hamas ha rimesso in discussione, come dopo il Bataclan, gli elementari principi di circolazione in sicurezza: gli attacchi in Francia e in Belgio e la consapevolezza che l’Italia resta il principale Paese di arrivo e transito di potenziali terroristi (come Salah Abdeslam, che si imbarcò indisturbato da Bari alla volta della Grecia, per poi fare il percorso inverso fino in Belgio), porta in dote due elementi di criticità: come gestire in questa fase i jihadisti in Europa e come evitare che il fisiologico e indispensabile inasprimento dei controlli alle frontiere esterne possa avere effetti sulle politiche di allargamento europeo verso il costone balcanico.
Le due criticità
Cosa è cambiato (in peggio o in meglio) rispetto agli attentati di dieci anni fa? E come questa potenziale decisione può impattare sui processi di integrazione dei Balcani, anche alla luce delle lamentele regionali sulla lentezza dei processi Ue (Albania su tutti)?
Il cono di attenzione sui Balcani non è parallelo alla guerra tra Hamas e Israele, ma parte da lontano come dimostrano numerosi report ad hoc realizzati sulla tipologia di arrivi dal versante balcanico: nei mesi scorsi, in concomitanza con l’aumento degli arrivi a Trieste, i Balcani si dimostrarono essere terreno fertile per estremisti religiosi e terroristi islamici. Ad agosto un cittadino della Bosnia ed Erzegovina fu arrestato per aver organizzato un attacco terroristico contro una moschea e per aver legami con l’Isis. Era già noto alle forze dell’ordine. Nel luglio 2022 un 52enne bosniaco residente a Bologna fu arrestato con l’accusa di aver trasferito denaro ad alcune organizzazioni terroristiche.
Il caso albanese
Un paletto significativo è stato fissato dal presidente (uscente) del Consiglio Ue, Charles Michel, secondo cui nell’Ue non tutti sono a favore dell’allargamento ai Balcani. Durante il recente vertice di Tirana ha proposto che fissare il 2030 come data è di incoraggiamento verso chi, negli ultimi dieci anni, ha avuto molta pazienza nell’attendere la luce verde da Bruxelles. “Nei Balcani Occidentali il percorso verso l’Ue è iniziato più di venti anni” ha spiegato bollando il processo di integrazione europea della regione come “troppo lento” e “deludente”.
Il riferimento è in primis all’Albania, il cui premier Edi Rama proprio in occasione dell’ultimo vertice ha detto senza mezzi termini che gli attuali vertici Ue sono in scadenza.Tirana ha fatto richiesta nel 2009, cinque anni dopo ha ottenuto lo status di paese candidato ma solo nel 2022 l’Ue ha tenuto la prima conferenza intergovernativa con l’Albania: troppo tempo è trascorso, sia come impatto mediatico, che politico, che sociale rispetto ad un paese che ha compiuto moltissimi passi in avanti.
Lo scorso 12 luglio il Parlamento europeo, in una relazione approvata con 536 sì, 54 no e 32 astensioni, ha accolto l’impegno dell’Albania per l’integrazione nell’Ue: è stato evidenziato come sia un partner affidabile in politica estera e resti un importante alleato geopolitico. Gli altri candidati sono Bosnia-Herzegovina, Moldova, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia, Turchia, Ucraina, mentre Georgia e Kosovo sono candidati potenziali.