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Biden verso Israele per salvare la crisi

Gli Stati Uniti sentono il dovere e l’interesse di evitare la catastrofe (umanitaria, militare e geopolitica) in Medio Oriente. Mentre i vari attori globali traccheggiano, Biden organizza il viaggio nella regione per salvare la crisi

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha pianificato una visita in Israele per mercoledì 18 ottobre, durante la quale si incontrerà con il primo ministro Benjamin Netanyahu, che lo accoglierà in clima di guerra, mentre il Paese che da anni governa ha subito il più pesante colpo psico-sociale dai tempi della sua fondazione.

La decisione del viaggio è stata annunciata dal segretario di Stato americano, Antony Blinken, al termine di un incontro durato sette ore e mezzo a Gerusalemme con Netanyahu. Blinken ha sottolineato che durante la visita, Biden ribadirà l’impegno degli Stati Uniti verso Israele e trasmetterà un messaggio inequivocabile agli altri gruppi (leggasi: le milizie sciite regionali collegate ai Pasdaran), invitandoli a non intraprendere azioni ostili.

L’americano ha la necessità di evitare l’escalation regionale (deleteria per una serie di ragioni, da quella securitaria a quelle economiche), mostrare vicinanza a Israele (necessaria per assicurarsi l’influente voto ebraico in Usa2024), evitare sbilanciamenti (perché il mondo arabo ha una posizione attendista e non apertamente pro-israeliana). Non a caso la visita prevede una tappa in Giordania, dove si incontrerà con Re Abdallah e con il presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen.

Gli egiziani parlavano anche di una possibile tappa al Cairo dell’americano, ma sarà Abdel Fattah al Sisi ad andare in Giordania per un vertice con Abdallah, Mazen e Biden. Mentre al Cairo ci sarà, sempre domani, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

L’Egitto è fondamentale perché dal valico di Rafah, a sud della Striscia di Gaza, si dovrebbe permettere un parziale esodo dei palestinesi che l’operazione terrestre israeliana dovrebbe sfollare. In questo, l’Egitto e la Giordania sono i primi recettori di nuovi profughi che l’Europa non ha capacità politica di gestire, e con le due capitali arabe sono già in corso trattativa anche da parte dell’Ue.

Salvare il salvabile, possibilmente tutto

Durante questa visita, Stati Uniti e Israele svilupperanno un piano per agevolare l’arrivo di aiuti umanitari da parte di Paesi donatori e organizzazioni multilaterali ai civili di Gaza. Questo piano potrebbe includere la creazione di “aree sicure”, come spiegato da Blinken. Soprattutto, Biden in Israele potrebbe contribuire a portare Netanyahu a una profonda riflessione sul dopo invasione. Washington non è contrario all’attacco (non potrebbe esserlo visto i clamorose precedenti in Iraq e Afghanistan), ma vuole garanzie che sia un’operazione militare contro i terroristi senza contraccolpi pesanti sui civili. Garanzie che non potrà mai avere.

Biden era stato invitato Netanyahu a visitare Israele, e la decisione di accettare questo invito non è priva di sfide. La visita potrebbe rischiare di danneggiare la credibilità della Casa Bianca e degli Stati Uniti se l’assalto israeliano creerà derive incontrollabili (il ritorno del jihad in Europa, una guerra regionale, una multi-crisi che coinvolge aree sensibili del Mediterraneo allargato, la possibilità per Cina e Russia di capitalizzare dalla situazione).

Inoltre c’è il peso dei civili, della crisi umanitaria: gli Usa vogliono evitare che Israele, aggredito brutalmente dal terrorismo animale di Hamas, si ponga su un piano simile. I gruppi jihadisti, e l’infowar russa e cinese, porterebbero ulteriore propaganda anti-americana e anti-occidentale su certi sviluppi.

Biden ha anche recentemente ribadito in televisione il diritto di Israele a difendersi da Hamas, ma ha messo in guardia da un’occupazione su larga scala della Striscia di Gaza, ritenendola un “grave errore”. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha discusso ieri due risoluzioni — una presentata dalla Russia e l’altra dal Brasile, non a caso le “Br” di Brics — che chiedono entrambe la de-escalation e la fornitura di aiuti umanitari. Sono mosse per mettere in imbarazzo gli Stati Uniti (e in generale l’Occidente). Atti simbolici e in parte strumentali, perché non identificano ancora chi possa garantire eventuali accordi sul piano della sicurezza.

Il piano globale davanti a Biden

Russia e Cina sono entrate nell’arena diplomatica, con il Vladimir Putin che ha telefonato a Netanyahu, al leader palestinese Abbas e ad altri player regionali; e la Cina che — coinvolta anche da Washington — ha aperto le sue discussioni. Per altro da oggi Putin sarà ospite di Xi Jinping a Pechino, dove il leader cinese festeggia i primi dieci dal lancio della Belt & Road Initiative, l’infrastruttura geopolitica con cui Xi si è proiettato verso Occidente e in Medio Oriente.

Ciò che è evidente dalle dinamiche innescatesi è quello che Suzanne Maloney descrive su Foreign Affairs come “La fine della strategia di uscita dell’America in Medio Oriente”. L’assalto di Hamas e il ruolo dell’Iran stanno mettondo a nudo le illusioni di Washington, spiega in un saggio la direttrice della sezione che si occupa di politica interna della Brookings Institution. Gli Stati Uniti sono di fatto ri-coinvolti in Medio Oriente.

E non lo sono soltanto per le due portaerei schierate con i loro gruppi da battaglia nel Mediterraneo; e nemmeno per la formidabile frenesia diplomatica che ha il segretario di Stato Blinken come protagonista (inciso: se c’è un uomo che sta evitando l’escalation regionale e le potenziali devastanti ricadute globali è proprio lui). Washington è coinvolta in quanto, anche davanti alle potenze concorrenti come Cina e Russia, o le impalpabili emergenti del Global South e la perennemente indecisa Europa, è l’unico attore globale in grado di muovere pesi e contrappesi. E le portaerei come le incessanti mediazioni di Blinken ne sono testimonianza. Peraltro, su una crisi come questa è in gioco il valore stesso dell’America.

E l’Europa?

Il contenimento del conflitto è ora una priorità per l’Europa e anche nello specifico per il governo italiano. A Roma, la possibile visita del presidente Biden è vista come un passo fondamentale per minimizzare l’impatto dell’ingresso militare israeliani a Gaza. Il governo italiano tiene contatti con attori chiave, come i leader di Giordania ed Egitto, e si muove nel solco Ue.

Nel contesto europeo, l’Italia e figure politiche chiave come la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani stanno sottolineando la necessità di ristabilire un orizzonte politico con le legittime autorità palestinesi per il processo di pace israelo-palestinese. Il problema è anche che quelle autorità, per ora interlocutori, sono considerate dai palestinesi stessi come vecchie, logore e inquinate da troppi anni di amministrazione inefficace.

Bruxelles sta anche cercando di guardare a una potenziale “fase due”, coinvolgendo le Nazioni Unite e la Lega Araba per affrontare il vuoto di potere a Gaza e la governance della Striscia una volta si dovesse riuscire a scacciare Hamas (eletto al governo dell’area nel 2007 è restato al potere da allora).

La riunione informale del Consiglio europeo, prevista per oggi in videoconferenza, ha l’obiettivo di adottare una dichiarazione comune che chieda di limitare il conflitto alla legittima autodifesa contro i terroristi, impedendo una guerra allargata e l’occupazione della Striscia di Gaza da parte di Israele. Contemporaneamente, l’Unione Europea intende riaffermare il proprio sostegno all’Ucraina, soprattutto considerando le recenti preoccupazioni espresse dai partner dell’Europa orientale circa un graduale disimpegno dal conflitto ucraino. Questa è considerata una questione cruciale non solo per l’Ue, ma anche per gli Usa, che intendono rispondere agli istinti emergenziali dimostrando capacità di essere impegnati su più fronti contemporaneamente. 


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