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Tutte le bucce di banana sulla strada della manovra. Parla Bruni (Ispi)

Conversazione con l’economista e vicepresidente dell’Ispi, a poche ore dal via libera del Consiglio dei ministri alla finanziaria. Gli osservatori si aspettavano un maggiore sforzo sul debito, che invece non si è visto e qualche riforma in più andava almeno promessa. Solo se i tassi saliranno al 5% dovremo seriamente preoccuparci. Il Medio Oriente? Presto per capire l’impatto sulla crescita

Non saranno facili le prossime settimane per il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Tra poche ore la seconda manovra targata Giorgia Meloni finirà sul tavolo del Consiglio dei ministri, per l’approvazione e il successivo invio a Bruxelles, forte dell’ultima sponda arrivata, decisamente preziosa, quella di Confindustria. Eppure, a sentire l’economista e vicepresidente dell’Ispi, Franco Bruni, non sarà un pranzo di gala. Anzi, bisognerà saper bene dove mettere piedi e mani.

“Credo che nella finanziaria non sia stata prevista una significativa riduzione del debito, cosa che Europa e mercati in parte si aspettavano. E poi temo sia stata in un certo senso sopravvalutata la crescita, con delle stime superiori a quelle degli organismi e degli economisti”, premette Bruni. “Il governo ha sottovalutato anche l’effetto dell’inflazione sui costi, non prendendo di petto per esempio la questione dei salari, anche nel pubblico impiego e lo stesso vale per le pensioni. Insomma, credo che ci siano state delle mancanze, sia sul lato del debito, sia dei salari. Da una parte è vero che è una manovra molto restrittiva, ma anche in termini di misure”.

A chi fa notare a Bruni che di risorse da mettere in manovra non ce ne sono mai state molte, l’economista risponde che “tanto valeva prometterla almeno qualche riforma, dando un orizzonte di cinque anni. Questo sarebbe stato un buon segnale, anche per i mercati. Arrivo a dire che bisognava dire o annunciare qualcosa di clamoroso. Io ho grande stima per il ministro Giorgetti e non credo che questo sia un momento facile per lui, anche perché forse c’è una certa consapevolezza che qualche reazione dai mercati potrebbe arrivare”.

Il discorso vira poi sul contesto internazionale, infiammato dal conflitto esploso in Medio Oriente. “Credo sia ancora presto per capire l’effettivo impatto della crisi in atto sulla crescita italiana ed europea. Tengo a precisare di come si tratti di un impatto indiretto, che riguarda soprattutto i prezzi e le politiche monetarie. Bisogna vedere cosa succederà con i prezzi dell’energia, ma per il momento non mi sento di parlare di un impatto troppo diretto”. Quando si parla di politica monetaria, ovviamente il pensiero corre a Francoforte.

Proprio ieri il presidente della Bce, Christine Lagarde, ha sostanzialmente affermato che i rialzi dei tassi possono fermarsi, almeno per ora. “Non capisco perché si parli tanto di tassi, se proprio vogliamo parlarne, allora parliamo di quelli nel lungo periodo. I tassi hanno un effetto restrittivo sull’economia quando salgono al 5-6%, quando influenzano gli investimenti. Parlare di 0,25 punti base ha poco senso, non sono grandi movimento. Solo se saliremo al 5 o 6%, come in America, allora dovremmo preoccuparci, stia certo. Semmai sarebbe opportuno che la Bce facesse un po’ di liquidità coi titoli acquistati negli anni anni scorsi con il Qe”, conclude Bruni.

 



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