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Storia di un documento di sostegno al Papa e di cattolici “tiepidi”. Scrive Pedrizzi

Per rispondere all’appello lanciato da papa Bergoglio, sull’impegno dei cattolici nella costruzione attiva della pace, venne lanciato un documento durante una riunione di un’importante associazione cattolica. In quel testo venivano ricordati gli appelli alla pace dei pontefici precedenti. La risposta al documento, tuttavia, è stata una bocciatura…

Tra guerra e pace, può esserci un “forse”, un “però”, un “pensiamoci meglio” a dividere le coscienze di persone che vivono nella Fede? La risposta, purtroppo, è sì, ma per spiegare il paradosso dei “cattolici timidi” o indecisi, bisogna partire da lontano, per arrivare al dettaglio, al particolare, alla debolezza umana. Per capire bisogna raccontare una piccola storia di uomini di buona volontà, cristiani, uniti in un sodalizio umano e religioso – un’associazione nobile e prestigiosa, italiana e cristiana – che finiscono per dividersi sulla banalità della pace, come fossero al bar a discutere di calcio o a teatro a parlare di stonature. Io proverò a raccontarla qui, questa vicenda tutta italiana, con riferimenti a parole e fatti non puramente casuali.

Eh sì, la storia, anche una piccola storia, a volte, mette l’umanità nella condizioni di poter essere artefice del proprio destino e di cambiarlo o al contrario di subirlo, arrendendosi ad esso senza colpo ferire, prima ancora che al proprio nemico. Spesso accade che l’essere umano si mostri impotente rispetto ai comportamenti di altri esseri umani, magari sbagliati, magari ingiustificati, ma che fanno i conti con la propria superpotenza che si nutre dell’immobilismo altrui, della resa “impotente” degli altri.

Accade così anche sul tema del conflitto tra Ucraina e Russia, che ci devasta le coscienze da oltre 500 giorni ormai: accade ai cattolici italiani, fragili come soldatini senza guida nonostante la presenza di un grande generale come Papa Bergoglio, che per la pace li sta chiamando, talvolta invano, alla lotta sul campo.

“La guerra è un atto contrario alla ragione umana e a tutta la ragione umana”, scriveva Lev Tolsoj: pensate, un russo, nel suo capolavoro Guerra e pace. “La pace non è soltanto assenza di guerra, ma una condizione generale nella quale la persona umana è in armonia con sé stessa, in armonia con la natura e in armonia con gli altri”, ha detto invece recentemente Papa Francesco, come se stesse concludendo con una frase consequenziale il pensiero dello scrittore laico: non c’è ragione, nella guerra, mentre c’è armonia, sempre, nella pace.

La semplicità del linguaggio, a volte, è un dono di Dio, non solo per Pontefici illuminati dallo Spirito Santo. Ecco perché oggi risulta impossibile, inaccettabile, incredibile, immaginare che un essere umano, laico o cattolico che sia, non possa operare una distinzione così semplice e categorica tra luce e buio, tra bene e male, tra pace e guerra, e mettersi al servizio dell’armonia universale che è nella natura dell’uomo.

Ecco perché, dopo aver tratteggiato attraverso due citazioni illustri il sottile filo che divide impegno e disimpegno, passività e mobilitazione, menefreghismo e fiducia nella possibilità di cambiare le cose, mi riesce più facilmente arrivare al punto di questo articolo, che ha come protagonisti i cattolici, chi crede, non solo in Dio, ma anche nella possibilità di essere artefici dei propri destini e di quelli degli esseri umani, in quella capacità di “fare della propria vita un capolavoro” anche incidendo su quella degli altri. In questa fase storica di tanta guerra e poca pace, qualche mese fa qualcuno si era chiesto che fine avessimo fatto noi cristiani impegnati nel mondo, nel sociale, nella politica, al fianco dei nostri riferimento spirituali.

La risposta l’aveva data Papa Bergoglio, che in uno dei giorni più dolorosi della guerra in Ucraina si era issato sulla Croce come un Cristo ferito per lanciare i suo grido di dolore sul conflitto in atto, su cui era scomparso qualsiasi riferimento alla trattativa, all’accordo, alla fine delle ostilità, mentre il mondo si divideva e si scannava sulla caccia, quasi ovvia e sulla quale pochi dubbi ci sono, su  chi avesse iniziato per prima.

Papa Francesco iniziò a chiedersi che senso avesse parlare di colpe se non si cercava di coinvolgere gli incolpevoli coinvolti, loro malgrado, nel conflitto. Fu allora che in una importante associazione cattolica inizia la piccola storia sui cristiani timidi e incerti: in quella sede qualcuno aprì il dibattito su cosa fare, su come mobilitarsi, su come lanciare l’esercito pacifista dei cattolici al fianco del Papa nel suo tentativo di parlare ai contendenti. Ma in quel momento, si percepì il vuoto, la paura di mettersi in gioco.

Altro che “armonia della pace”: in quella sede di grandi dibattiti tra uomini di fede, prelati, imprenditori, volontari, sui massimi sistemi cattolici, la prudenza si manifestò minacciosa intorno a chi voleva aiutare il Papa pacificatore, ne gelò, in modo per lui inconsapevole, ardore e buone intenzioni, le sue e di chi credeva, in quella sede, che ci si dovesse muovere al fianco del Santo Padre.

Per tutti questi motivi vogliamo raccontarla, questa piccola storia, partendo dall’inizio, riprendendo il verbale registrato dall’assemblea nella quale un autorevole esponente dell’associazione cattolica proponeva in un ordine del giorno il sostegno al Papa impegnato nell’azione di mediazione.

In quel documento, venivano ricordati anche gli appelli contro tutte le guerre dei vari pontefici, dalla definizione di inutile strage pronunciata da Benedetto XV sulla Prima Guerra Mondiale, all’appello di Pio XII da Castel Gandolfo il 29.08.1939 alla vigilia del Secondo Conflitto Mondiale, per arrivare ai moniti di Paolo VI all’ONU il 4.10.1965, fino al grido di Giovanni Paolo II urlato all’Angelus del 16.03.2003. Per non parlare del ruolo di Benedetto XVI che nel corso del suo pontificato illuminò il legame strettissimo tra ordine mondiale e felicità collettiva, indicando le vie di attuazione del bene comune da percorrere per ottenere la pace.

Da lì la richiesta all’assemblea di votare compatti per unirsi alla mobilitazione dei cattolici italiani intorno al Papa. Cosa c’era da aspettarsi? Un plebiscito? Un’entusiastica adesione all’appello? Un voto blindato?

Avvenne il contrario, con argomenti da assemblea condominiale: bisognava parlarne in anticipo, leggere, sondare, dare a tutti la possibilità di esprimersi.

Possibile? Per dare sostegno al Papa in missione di pace, i cattolici di un’associazione devono entrare in trance, in meditazione, dallo psicoterapeuta, farsi leggere le carte dalla zingara o cos’altro?

Fu così che quel documento di sostegno a Papa Francesco finì in un cassetto, come una bolletta della luce o del gas da pagare, una multa scaduta.

Qualche mese dopo, però, accade che nella stessa associazione chi aveva presentato quella proposta, ci riprovi, portando in dote una documentazione massiccia di articoli pubblicati sul tema dell’impegno dei cattolici sulla guerra, interventi a dibattiti, editoriali. E il documento di sostegno al Papa? Rispunta dal cassetto, mentre la guerra è in corso e la missione del Papa si arricchisce della delega pesantissima al cardinale Zuppi.

Ad un’assemblea successiva, il documento viene ripresentato dal vertice dell’associazione, con una leggera modifica e passa, guarda caso, all’unanimità. Con la soddisfazione, e un po’ di amarezza, di chi lo aveva immaginato, divulgato sui media e proposto un anno prima all’associazione, subendo l’ostracismo dei cattolici che incredibilmente hanno paura di scegliere tra guerra e pace, o semplicemente tra coerenza e opportunismo.


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