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C’è ancora domani, la storia di una donna liberata

È in sala “C’è ancora domani” (2023) dall’attrice e regista Paola Cortellesi, storia di una donna, moglie e mamma italiana, che si libera dal suo ruolo di casalinga sottomessa, nei giorni in cui nasce l’Italia repubblicana. Un racconto che inchioda lo spettatore alla poltrona. La recensione di Eusebio Ciccotti.

A chi rimane negli occhi il lungo carrello incipitario al rallenti con la protagonista mentre attraversa un marciapiede di un quartiere popolare romano, quasi un lungo rettangolare murales in movimento alla Edward Hopper, grazie al quale siamo condotti per mano in quel microcosmo rionale metafora del mondo. Chi sobbalza durante il pranzo di fidanzamento tra i due giovani (Marcella, figlia maggiore, povera con dignità/lui, popolano di provincia arricchito, che vede il matrimonio come possesso violento di una femmina) dai toni quasi pasoliniani (Mamma Roma).

Chi troverà geniale il suocero che fa il finto malato a letto ma poi, miracolosamente, appare in cucina (poiché escluso dal ricco pranzo di cui sopra) come in una storia di Luis Buñuel. Infine, qualcuno amante dei falsi finali, ossia di quei film che stanno chiudendo facendoti pensare ad un “logico” explicit, ma improvvisamente se ne profila un secondo inatteso per poi chiudere con un terzo, questo ancora migliore (insomma alla Arnaud Desplechin), sarà soddisfatto dalla spiazzante sceneggiatura (al contempo, qualcun altro troverà il finale troppo ingegneristico).

Sta di fatto che C’è ancora domani (2023) di Paola Cortellesi, attrice di notevole livello, forse la più dotata tra le italiane oggi in attività (chi non ha amato la sua finta romena di Sotto una buona stella di Carlo Verdone o le perfette performance di Un gatto in tangenziale e Ritorno a coccia di morto di Riccardo Milani ?), qui nella parte di una sottomessa moglie di una famiglia patriarcale, co-sceneggiatrice (insieme a due autori innovativi della neo-commedia italiana, Furio Andreotti e Giulia Calenda), è un film che ti prende e sorprende.

Una pellicola (come si diceva fino all’avvento del digitale) che finirà nella filmografia del cinema “sulle donne”, e nessuna tesi di laurea o libro sul cinema “sull’altra metà del cielo” non potrà non includerlo.

Siamo nella primavera del 1946, a Roma, poco prima delle elezioni del 2 giugno, che dovranno decidere tra Repubblica e Monarchia. Primo suffragio universale in Italia. Seguiamo la parca vita di un gruppo in un interno popolare.

Padre prepotente, lavoratore e un tantino beone, che governa la famiglia a schiaffoni (credibile Valerio Mastandrea); moglie più intelligente di lui, instancabile lavoratrice in casa e fuori, che per la pace famigliare “abbozza” le prepotenze del marito, attribuendole al carattere (Paola Cortellesi); una figlia adolescente desiderosa di sposarsi (Romana Maggiora Vergano), apparentemente critica (“A ma’ non te ribelli?” “E ddove vado?”) ma, accecata dall’innamoramento, non vede che il futuro marito è copia di suo padre-padrone; due fratellini in preda a un linguaggio scatologico, sempre impegnati e litigare tra di loro per bazzecole (qui forse c’è ridondanza recitativa). Una famiglia cui non manca il suocero, tronfio, volgare, fregnacciaro, teorico dell’incesto famigliare a proprio tornaconto (Nino Marchioni).

C’è ancora domani, nonostante originali colpi di scena, in alcuni momenti sembra rallentare il respiro dovuto anche a qualche soluzione stilistica eccessivamente metaforica (la violenza-balletto opera in stile Carmen) che comunque non pregiudica la delicatezza del racconto.

Paola Cortellesi dirige con sicurezza un cast di non semplice amalgama, con personaggi dall’infanzia alla terza età, di diversi tipi sociali, in cui centrale era la sorveglianza linguistica dei registri dell’italiano regionale e del romanesco italianizzato, già filtrato in sede di copione, ma di non facile gestione sul set se unito alla mimica e alla gestualità, mostrando un indiscutibile talento nel guidare gli attori.


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