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Chip, stop all’open source alla Cina. La proposta dei senatori Usa

Alcuni deputati del Congresso americano vogliono che il Dipartimento del Commercio blocchi l’accesso dei chipmakers cinesi alla tecnologia Risc-v, architettura cruciale per il design dei semiconduttori, open source e rivale dell’americana Arm e x86. Una mossa non così semplice da realizzare, considerando i trend del mercato e non solo…

Nella guerra dei chip tra Stati Uniti e Cina, l’amministrazione Biden è sempre più incagliata in un costante tentativo di bilanciare mosse e contromosse: da una parte, i chipmaker americani, più volte supportati dalla Semiconductor Industry Association (Sia), chiedono di allentare le misure ritorsive nei confronti di Pechino, per il rischio di perdere un importanto mercato.

Dall’altra, le prospettive che la Repubblica Popolare Cinese possa sviluppare capacità autonome in più nodi della complessa supply chain – come sembra confermare l’avanzamento ottenuto con la manifattura di chip avanzati, come quello rivelato nel Mate 60 Pro di Huawei, e dalla possibile fuga di tecnologie da Taiwan – rimangono al centro delle preoccupazioni dell’establishment e non solo.

Alcuni membri del Congresso, tra cui Marco Rubio, Michael McCaul e Mike Gallagher hanno richiesto, come riportato da Reuters, che il Dipartimento del Commercio, agenzia incaricata tramite il Bureau of Industry and Security (Bis) di implementare le restrizioni all’export di tecnologia sensibile, di includere anche la tecnologia Risc-v nel pacchetto dal momento che il suo ampio utilizzo in Cina potrebbe erodere l’efficacia delle misure nel limitare l’accesso delle aziende cinesi a tecnologia all’avanguardia.

Ma di cosa si tratta? Prima di poter sviluppare un design di un chip, gli ingegneri devono decidere con quale architettura d’instruzioni (Isa) il microprocessore sarà strutturato. Si tratta di u passaggio cruciale, e che si basa sulla disponibilità di poche architetture attualmente sul mercato e controllate da poche aziende. Per i computer e i server si contano Cpu basate su x86 costruite da Intel o Amd negli Stati Uniti. Solo Intel, Amd e VIA Technologies (Taiwan) detengono i brevetti per la produzione e l’ulteriore sviluppo di processori x86.

Poiché il software è compatibile solo con una certa architettura, i concorrenti di x86 devono convincere gli sviluppatori di software a investire risorse significative per sviluppare software per un’altra architettura. Questo, in sostanza, crea un forte vendor lock-in. Mentre x86 è l’architettura dominante per i personal computer e i server, i processori basati su Arm (azienda britannica) alimentano smartphone, tablet e i dispositivi dell’Internet delle cose (IoT).

La proprietà di Arm è stata, ed è tuttora, un elemento al centro della competizione tecnologica sui chip: acquisita da SoftBank nel 2016 per 32 miliardi di dollari, il più grande acquisto di sempre per un’azienda tecnologica europea, in seguito della crisi dei chip e delle consistenti perdite registrate hanno portato il gruppo giapponese ad ascoltare l’offerta di Nvidia. L’operazione è stata però bloccata dalle autorità antitrust, poiché ritenuta possibilmente pericolosa per la concorrenza dal momento che avrebbe integrato il business di Nvidia (leader nel design dei chip) con la proprietà intellettuale di Arm. Nel 2023, SoftBank ha quotato circa il 10% della sua partecipazione in Arm sul NASDAQ con il nome di Arm. Il titolo è stato quotato a 51 dollari per azione e ha iniziato a essere negoziato il 14 settembre 2023.

Poiché quasi tutta l’architettura dei chip è sotto il pieno controllo di due aziende occidentali, non sorprende che la Cina stia cercando alternative autoctone. Ma quello che preoccupa i legislatori americani, più che i successi o insuccessi in questo segmento dell’industria dei chip, è l’ampio uso dell’architettura Risc-v (ormai concorrente di Arm e x86) da parte dei chipmakers cinesi.

Si tratta di un’architettura introdotta nel 2015 dai ricercatori della Berkeley University (con il supporto anche della Darpa, l’agenzia di ricerca del Pentagono) e il suo sviluppo è avvenuto sotto la tutela di un’organizzazione svizzera senza scopo di lucro, che ne ha mantenuto intatta la natura open-source, e che si sta affermando come una valida alternativa a x86 e Arm. Risc-v si basa anch’essa sui principi Risc, ma ha un set di istruzioni che è presumibilmente più ridotto rispetto ad Arm. A differenza di Arm, che è un’Isa proprietaria di un’azienda a scopo di lucro, Risc-v è gestita da un’organizzazione no-profit chiamata Riscv International. La caratteristica più distintiva di Risc-v è che viene concessa in licenza gratuita ed è esente da royalty, oltre a poter essere impiegata in vari dispositivi, dagli smartphone fino ai chip per l’intelligenza artificiale.

Inoltre, grazie alla natura open-source, i licenziatari di Risc-v hanno la libertà di modificare l’insieme di istruzioni per i loro usi proprietari. Sebbene una maggiore libertà sia accolta con favore da alcuni progettisti di chip in quanto incoraggia una comunità di sviluppatori a sperimentare, alcuni critici ritengono che la frammentazione, dovuta alle innumerevoli personalizzazioni dell’Isa di Risc-v, potrebbe distruggere la piattaforma. Ma il punto che interessa i legislatori americani è un altro: ovvero che questa cultura di openeness che incoraggia gli sviluppatori potrebbe risultare una falla nel tentativo degli Stati Uniti di contenere le ambizioni tecnologiche della Cina nell’industria dei chip. Istituti e fondi cinesi stanno infatti incoraggiando start-up e l’emergere di un ecosistema intorno a questa tecnologia.

Il rappresentante Mike Gallagher ha dunque proposto che qualsiasi collaborazione degli Stati Uniti con entità cinesi su questo fronte debbano prima ottenere una licenza di esportazione. McCaul ha enfatizzato come la Cina “stia abusando di Risc-v per aggirare il dominio americano sulla proprietà intellettuale per disegnare i chip” e richiesto di modificare le regole sulle esportazioni dal momento che l’utilizzo di tecnologia open source rappresenta “una strategia di trasferimento tecnologico che minaccia di erodere le norme americane sull’export”. Il senatore Marco Rubio ha avvisato che se non verranno prese misure in questa direzione, “la Cina un giorno ci sorpasserà come principale leader globale nel design di chip”.

L’entusiasmo internazionale di questa tecnologia tuttavia è evidente, con aziende sia cinesi che occidentali che cercano di integrarla sempre più nei loro prodotti. Il colosso tecnologico cinese, Huawei, considera Risc-v come fondamentale per i suoi sforzi nel campo del design dei chip. Negli Stati Uniti, invece, aziende come Qualcomm hanno mostrato entusiasmo per il suo potenziale, sottolineandone la capacità di trasformazione per il settore. Secondo il Global Times, circa il 50% dei chip che funzionano con architettura Risc-v nel mondo sono prodotti da aziende cinesi. Altri utilizzi di questa architettura alternativa ad Arm e x86 includono Google, che pianifica di includerla nei prossimi dispositivi che utilizzano Android OS.

L’entità delle possibili conseguenze, qualora tali restrizioni venissero effettivamente implementate dal governo americano, può essere soppesata da una dichiarazione di Jack Kang di SiFive, start-up californiana, che ha equiparato tali limitazioni all’esclusione delle aziende tecnologiche statunitensi dall’universo digitale di Internet, e non solo.

Non parliamo, infatti, di un imprenditore tra i tanti della Silicon Valley: SiFive è stata infatti selezionata l’anno scorso dalla Nasa per il progetto High Performance Spaceflight Computing (HPSC), ovvero quello di disporre di una tecnologia di calcolo con una potenza di almeno 100 volte superiore a quella offerta dagli attuali computer di volo spaziale. A ingegnerizzare il chip sulla base dell’architettura Risc-v di SiFive sarà Microchip Technology (situato a Chandler, Arizona), all’interno di un contratto del valore di 50 milioni di dollari. Microchip progetterà e consegnerà il processore in 3 anni.

È dunque probabile che la proposta dei legislatori americani, proprio per le implicazioni che avrebbe sull’ecosistema americano e in un contesto di già forte pressione dei chipmakers statunitensi come Nvidia, Intel e Qualcomm nei confronti dell’amministrazione, rimarrà inascoltata. Ma si tratta di un altro, possibile fronte nella guerra dei semiconduttori.

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