Al via la conferenza sulla finanza e il lavoro che si tiene una volta ogni cinque anni tra i massimi dirigenti comunisti e il leader Xi Jinping. Obiettivo, capire come sia stato possibile portare al collasso il mercato immobiliare e decidere se aumentare o meno il grip del governo sull’economia
L’appuntamento è di quelli importanti. La Cina, che ormai non ha più i muscoli scattanti di una volta, tanto da aver creato un alone di sfiducia intorno ad essa, è pronta a guardarsi allo specchio per provare a scacciare i demoni. L’occasione arriva con la tradizionale Conferenza finanziaria sul lavoro, che ogni cinque anni il partito organizza, portando i massimi leader di Pechino a fare un bilancio.
Quest’anno, poi, il meeting (che si aprirà oggi e si concluderà mercoledì) arriva in un momento particolarmente delicato per il Dragone. Certo, le ultime stime sul Pil cinese raccontano di una crescita che sembra aver ripreso il passo (nel terzo trimestre il ritmo è salito al 4,9%). Ma è altrettanto vero che il collasso del mattone, che per la Cina vale ancora un terzo del Pil, è esattamente il piatto forte dei lavori, il tema principale su cui Xi Jinping e le prime linee del partito si confronteranno. Il rischio è infatti che le insolvenze che ormai si susseguono in Cina a livello locale, arrivino dritte al cuore della finanza cinese.
I lavori, rigorosamente a porte chiuse e senza comunicati ufficiali, dovrebbero durare circa due giorni, a cinque anni dall’ultimo incontro, quello del 2017 (nel 2022, causa pandemia ancora in corso in Cina, il vertice non si tenne). “Il confronto ai massimi livelli del partito si concentrerà principalmente sulla risoluzione del debito. Al momento la cosa più importante è risolvere i problemi del debito”, hanno fatto trapelare alcune fonti. “Il nocciolo della questione è il fatto che i governi locali sono senza soldi. E la ragione principale di ciò è la flessione del mercato immobiliare”.
Ma non è tutto. Al di là di capire l’effettiva portata del problema debito, c’è da mettere a punto il nuovo assetto della catena di comando cinese. Nel partito ci si è convinti nel tempo che parte dei guai cinesi vengano proprio da un controllo del governo sull’economia ammorbiditosi negli anni. Per questo ci sono i presupposti per una progressiva retromarcia, con Pechino pronta a mettere bocca e mani in tutte le faccende industriali e finanziarie.
Come fanno notare le medesime fonti, quasi certamente si approverà un rafforzamento della leadership di Xi Jinping sul settore finanziario del Paese. Chissà come la prenderanno i grandi investitori stranieri, già non poco mal disposti verso il Dragone. Secondo le autorità dei cambi, le quali tengono traccia delle transazioni finanziarie internazionali effettuate mensilmente dalle banche nazionali per conto di imprese e famiglie, il deflusso netto di capitali esteri, il mese scorso ha raggiunto i 53,9 miliardi di dollari: si tratta dell’importo maggiore dal gennaio 2016, quando la Cina ha registrato un deflusso netto di 55,8 miliardi di dollari innescato, tra gli altri fattori, da un’improvvisa svalutazione dello yuan chiamata shock renminbi.