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Perché non possiamo fidarci della Cina su Israele. L’opinione di Harth

Il Partito comunista non è e non sarà mai un vettore di pace. Il suo è un gioco di propaganda per dividere chi lo è in modo da far progredire i suoi fini geopolitici. Come ha fatto e sta facendo sull’aggressione russa dell’Ucraina. L’opinione di Laura Harth, campaign director di Safeguard Defenders

I veri amici si vedono nel momento del bisogno. Così come i nemici. A una settimana esatta dall’orrendo attacco terroristico di Hamas in Israele, la Repubblica popolare cinese si sente in dovere di condannare lo Stato ebraico per le sue operazioni di auto-difesa in Gaza. Allo stesso modo, non ha trovato le parole per condannare il massacro e il rapimento di bambini, anziani, madri e padri, inclusi cittadini italiani.

In una guerra fatta tanto sul campo di battaglia quanto nell’opinione pubblica globale, dobbiamo dire alle fake news propagandistiche del regime comunista cinese che mirano soltanto a dividere (per imperare). Come ci racconta il Global Times, sabato Wang Yi, ministro degli Esteri, si è sentito in dovere di dire alla sua controparte saudita che “le azioni dell’Israele sono andati al di là dell’auto-difesa e che dovrebbe rispettare gli appelli della comunità internazionale e del segretario generale delle Nazioni Unite, fermando la punizione collettiva della popolazione a Gaza”.

Potremmo dire che mai si è letta una cosa che grondava di tanta ipocrisia, se non fosse che stiamo assistendo a una replica esatta del playbook cinese in risposta all’invasione illegale della Russia in Ucraina. Non è una questione di opinione. Si tratta di fatti. Prendiamoli uno per uno, partendo dall’apologia dei terroristi di Hamas.

La dittatura cinese si rifiuta da sempre di riconoscere Hamas come il gruppo terroristico che evidentemente è, schierandosi invece consistentemente con gli oppositori d’Israele nelle condanne dello Stato ebraico nelle sedi delle Nazioni Unite. Difficile immaginare qualcosa che stride di più con la dichiarata “guerra di auto-difesa al terrorismo islamico” che lo stesso regime usa da oltre sei anni come scusa per perpetrare un vero e proprio genocidio contro le popolazioni musulmane nella regione uigura dello Xinjiang.

Un genocidio e crimini contro l’umanità condannati da gran parte della comunità internazionale, Nazioni Unite incluse. Ma lo stesso regime che ora chiede a gran voce che si rispettino gli appelli della comunità internazionale da anni si rifiuta platealmente a collaborare con gli esperti indipendenti del sistema Onu per verificare la situazione dei diritti umani in Xinjiang così come in altre parti della Cina. Ingressi negati. Veto sulla discussione di un rapporto dell’Alto rappresentante per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla situazione nello Xinjiang. Rapporti periodici secondo trattati sottoscritti dalla Cina non pervenuti.

La lista non è lunga. È infinita.

Il tutto in un Paese governato dallo spettro continuo di punizione collettiva, dove ormai neanche a letto marito e moglie si sentono sicuri di poter condividere quel che pensano davvero della dittatura sanguinosa del Partito comunista cinese. Dove neanche chi è riuscito a sfuggire agli divieti di uscita imposti a sempre più persone – e si capisce come mai il regime si riconosca tanto in Hamas – si sente libero di poter esprimere quel che pensa perché metterebbe a rischio chi invece si trova ancora nelle grinfie del regime di Pechino.

È questo il modello di “pace” e di “nuovo ordine mondiale” che il Partito comunista cinese ci offre. Un modello di ipocrisia, di violazioni massicce dei diritti più basilari, dove il terrorismo di stato e di gruppi come Hamas possono regnare liberamente.

Un nuovo ordine mondiale “democratico” – farebbe ridere se la situazione non fosse così drammatica – dove Xi Jinping, Vladimir Putin e Hamas dettano le regole. Un nuovo ordine dove la sovranità e la sicurezza dei popoli è soggiogato a chi è disposto ad infliggere maggior terrore e violenza.

Il Partito comunista non è e non sarà mai un vettore di pace. Il suo è un gioco di propaganda per dividere chi lo è in modo da far progredire i suoi fini geopolitici. Sebbene in quanto democrazie che tengono alla vita abbiamo il compito arduo di cercare di evitare a tutti i costi lo scontro diretto, almeno togliamoci le bende dagli occhi ed evitiamo di dare ulteriore spago a chi sembra sempre più intento a crearlo. I veri amici si vedono nel momento del bisogno. È ora di riconoscere anche i nemici.

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