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Fuga dal debito (cinese). Così il mercato abbandona il Dragone al suo destino

La scorsa estate gli investitori esteri si sono liberati di obbligazioni cinesi per 80 miliardi di yuan, innescando una spirale di pessimismo sulla seconda economia globale. Che ora rischia anche sulle banche

Il Dragone se la passa male da anni, ma quello che più colpisce è la velocità con cui i mercati stanno abbandonando Pechino al suo destino. C’è un dato che più di tutti colpisce, e cioè quello inerente al deflusso di capitali a partire dalla scorsa estate: 11 miliardi di dollari solo nel corso dei due mesi estivi.

Gli investitori stranieri continuano insomma a vendere le azioni cinesi delle società della Cina continentale. Nel periodo luglio-settembre, hanno venduto 80,1 miliardi di yuan (10,97 miliardi di dollari) di azioni in più rispetto a quelle acquistate tramite Stock Connect, il collegamento commerciale tra Hong Kong e le borse di Shanghai e Shenzhen, registrando la più grande vendita netta trimestrale dall’avvio del programma di accesso reciproco al mercato, iniziato nel 2014. La preoccupazione per le prospettive macroeconomiche e i problemi immobiliari in Cina ha spinto gli investitori esteri a scaricare le azioni cinesi, in particolare quelle delle istituzioni finanziarie e delle società legate ai consumi personali.

E nel solo primo giovedì di agosto, secondo Bloomberg sono finite sul mercato altri 1,5 miliardi di yuan ( 208 milioni di dollari) di azioni quotate a Shanghai e Shenzhen. Una emorragia che rischia non solo di impoverire più di quanto non lo siano le finanze del Dragone, ma anche di creare i presupposti di una crisi sistemica di fiducia. Tutto questo mentre, a sentire gli economisti di Jp Morgan, il sistema del credito cinese va dritto spedito incontro all’ennesimo stress. Gli analisti della più grande banca d’affari del mondo sostengono infatti che gli utili degli istituti di credito potrebbero crollare fino a 10% nel 2024, per via delle aziende immobiliari che diventano sempre più inadempienti facendo salire i crediti in sofferenza.

Nello scenario base di Jp Morgan, i crediti deteriorati delle banche, ovvero quei finanziamenti che non sono ancora tornati indietro, dovrebbero passare da una quota del 4,5% dei primi sei mesi del 2023 al 7,5% di fine anno. Questa cifra salirebbe addirittura al 13% se tutti i costruttori dovessero andare in difficoltà, dando vita a una crisi sistemica. A quel punto i guadagni delle principali banche cinesi scenderebbero del 10%. Va detto che a comprimere i margini degli istituti ci si sono messi anche i tassi al ribasso operati dalla Pboc, la Banca centrale cinese. Manovre che si pongono come obiettivo quello di estendere i prestiti per far circolare più denaro nell’economia ma che nei fatti comprimono i margini.

Ma chi rischia più di tutti? Sempre secondo gli analisti di Jp Morgan, in termini di esposizione ci sono Ping An Bank e China Minsheng Banking, che potrebbero vedere una maggiore pressione sui loro guadagni. Viceversa, tra gli istituti di credito meno vulnerabili figurerebbero China Merchants Bank, Industrial & Commercial Bank of China e China Construction Bank Corp.


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