A pochi giorni dalla fine delle celebrazioni per il decennale della Belt&Road, emerge una verità scomoda e brutale. I mastodontici investimenti della Cina hanno prodotto una mole impressionante di debito, per giunta anche tossico. Combatterlo vuol dire dare alle economie finite della rete del Dragone una speranza per il futuro. E il primo passo è la trasparenza
La Via della Seta continua a rappresentare, almeno per la Cina, un vessillo da esporre con orgoglio sul petto (qui l’intervista all’economista e imprenditore, Alberto Forchielli). Eppure, nonostante Xi Jinping abbia dato alle celebrazioni della scorsa settimana grande significato politico e geostrategico, come dimostra la presenza all’evento dell’alleato Vladimir Putin, non tutti sono d’accordo. Non certo due osservatori del calibro di Michael Bennon e Francis Fukuyama, autori su Foreign Affairs di un’analisi dal titolo abbastanza eloquente, China’s road to ruin. The real toll of Beijing’s Belt and Road.
TUTTE LE TOSSINE DELLA BRI
“Quest’anno ricorre il decimo anniversario della Belt and Road Initiative, il più grande e ambizioso progetto di sviluppo infrastrutturale della storia dell’umanità. La Cina ha prestato più di mille miliardi di dollari a più di 100 Paesi attraverso il progetto della Bri, superando la spesa occidentale nei Paesi in via di sviluppo e alimentando le ansie al livello globale sulla diffusione del potere e dell’influenza di Pechino”, premettono i due economisti. Ora “molti analisti hanno definito i prestiti cinesi come una trappola diplomatica del debito, progettata per dare alla Cina un potere su altri Paesi e persino per impadronirsi delle loro infrastrutture e risorse”.
La prova? “”Dopo che lo Sri Lanka è rimasto indietro con i pagamenti per il suo travagliato progetto portuale di Hambantota nel 2017, la Cina ha ottenuto un leasing di 99 anni sulla proprietà come parte di un accordo per rinegoziare il debito. L’accordo ha suscitato a Washington e in altre capitali occidentali il timore che il vero obiettivo di Pechino fosse quello di acquisire l’accesso a strutture strategiche nell’Oceano Indiano, nel Golfo Persico e nelle Americhe”. Una prima conclusione è dunque che dietro il volto sorridente della Via della seta si cela un debito tossico e contagioso, in grado di mandare a gambe all’aria intere economie dalle spalle non troppo larghe. Un debito che è stato persino capace di far male alla stessa Cina: prestare denaro a chi poi non può rimborsarlo ha impattato non poco sulle grandi banche del Dragone, soprattutto quelle a controllo pubblico.
Ma c’è di più, il debito figlio della Bri non solo è velenoso, ma persino in grado di sfuggire a un occhio poco attento. Secondo uno studio del 2021 pubblicato sul Journal of International Economics, scrivono Bennon e Fukuyama, “circa la metà dei prestiti cinesi ai Paesi in via di sviluppo sono nascosti, cioè non sono inclusi nelle statistiche ufficiali sul debito. Un altro studio pubblicato nel 2022 dall’American Economic Association ha rilevato che tali debiti hanno dato luogo a una serie di inadempienze nascoste”.
ALLA RICERCA DELLA TRASPARENZA PERDUTA
Come evitare che gli investimenti più o meno direttamente connessi alla Via della Seta portino all’asfissia delle economie più fragili. Qualcosa, scrivono i due economisti, possono fare gli organismi internazionali di stampo occidentale, come il G7 e il Fondo monetario. “Ci sono diverse opzioni per affrontare le crisi del debito della Bri. In primo luogo, gli Stati Uniti e altri creditori bilaterali potrebbero aiutare i Paesi ingarbugliati nei prestiti cinesi a coordinarsi tra loro. Ciò migliorerebbe la trasparenza, aumenterebbe la condivisione delle informazioni e consentirebbe di negoziare con i creditori cinesi come gruppo anziché a livello bilaterale o singolo”.
“In secondo luogo, il Fondo monetario internazionale dovrebbe stabilire criteri chiari che i debitori difficoltà devono soddisfare prima di poter ricevere nuove linee di credito dal Fondo (anche l’organismo di Washington presta denaro per finanziare i medesimi Paesi, ma a condizioni ben diverse da quelle cinesi, ndr). Lo stesso Fmi dovrebbe anche stabilire criteri molto più chiari riguardo a quali prestiti legati alla Bri saranno considerati crediti ufficiali, anziché commerciali. La Cina ha infatti sempre sostenuto che alcuni dei principali crediti sono commerciali piuttosto che ufficiali, perché sono valutati a tassi di mercato e dunque con tassi di interesse suscettibili di rialzi, rendendo il finanziamento sempre più oneroso”.
Non sarà facile, ma il gioco può valere la classica candela. Perché “queste riforme sono l’unico modo per proteggere l’Occidente dalla dalla crisi del debito innescata dalla Bri. I conflitti sul debito generato dalla Via della Seta continueranno a ostacolare gli sforzi di riduzione del debito globale delle economie in Via di sviluppo, minando sia la salute economica dei Paesi stessi indebitati e dunque del mondo”. Sì, la Via della Seta è anche una road to ruin, una via per la rovina.